Italia
Essere riformista nel Pd dà diritto al pensionamento anticipato. Quel mestiere usurante e i capicorrente narcisi

La mozione unitaria per la Palestina (o, meglio, contro Israele) di Pd, M5S e Avs un merito lo ha. È infatti un atto impegnativo e importante, che fa finalmente chiarezza sulla stucchevole discussione che ha dilaniato il campo largo in questi anni. Nel senso che il centro non c’è più, mentre resta una sinistra a vocazione minoritaria con venature terzomondiste in politica estera e neosindacali nella politica sociale (referendum sul Jobs Act). Chissà, forse Matteo Renzi, a questo punto, si convincerà che coabitare con questi alleati – che peraltro lo rifiutano un giorno sì e l’altro pure – è “mission impossible”.
La casa brucia, come ci si salva?
I riformisti dem assisteranno passivamente a questa deriva radicaleggiante di un partito nato per unire il meglio delle culture storiche del socialismo europeo e del cattolicesimo democratico? La domanda non appaia impertinente, ma se la casa (il mondo, la civiltà occidentale) brucia non ci si salva rifugiandosi nel sottoscala di antiche certezze novecentesche. Essere riformista del Pd è ormai diventato un mestiere assai gravoso, degno di comparire nell’elenco delle mansioni usuranti che danno diritto al pensionamento anticipato. E vivacchiare in un partito sull’orlo di una permanente crisi di nervi può essere altamente rischioso per l’equilibrio psicofisico anche del più paziente tra quanti non condividono le posizioni della sua leadership.
Né gli appelli all’unità interna sembrano in grado di chiudere la guerra civile iniziata già dopo la sconfitta al referendum costituzionale del 2016. La verità è che allora sono nati due partiti diversi, i quali hanno in comune solo una reciproca diffidenza. Si illude chi pensa che quella frattura si possa ricomporre mediando sui verbi e sugli aggettivi dei documenti della segreteria o dei gruppi parlamentari. Il progetto di un Pd a vocazione maggioritaria è fallito, e non si vede all’orizzonte una classe dirigente capace di rimetterne insieme i cocci. Nel frattempo il “trasformiste apulien”, l’ex avvocato del popolo, continua a spadroneggiare nel dibattito pubblico, sfruttando la sua superiore abilità propagandistica e il vuoto di idee in cui latita Elly Schlein.
I capicorrente narcisi
Meglio una separazione consensuale, pertanto, che una convivenza forzata sotto lo stesso tetto. Ne gioverebbe l’opposizione tutta, con due forze – una di ispirazione liberaldemocratica e l’altra vicina al campo del socialismo europeo – che potrebbero rivendicare liberamente la propria identità per poi allearsi definendo un programma condiviso di riforme, che sappia parlare “ai deboli e ai forti”, ai meno abbienti come ai ceti più dinamici della produzione e del lavoro. Inoltre, forse ne gioverebbero gli stessi iscritti e militanti del Pd, non più torturati dai litigi intestini di capicorrente narcisi.
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