Per chi si chiede se realmente la più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti d’America, stia marciando verso la tirannide di un uomo solo al comando, ci sono notizie confortanti: Donald Trump ha dichiarato guerra a tutte le università ma in particolare a quella suprema di Harvard ingiungendo di cambiare i corsi, i criteri di assunzione degli insegnanti, i criteri di accoglimento degli studenti stranieri, la sottomissione dei programmi alle autorità federali. La buona notizia è che l’università di Harvard dopo molta sofferenza ha risposto con un No sulle questioni che implicano la libertà dell’insegnamento e degli insegnanti, pur accogliendone altre di una certa importanza.

Il segnale maggiore è che Harvard ha puntato i piedi contro Trump. Tutte le università americane avvertono la ribellione di Harvard come un segno di resistenza all’inquilino della Casa Bianca, ma tutte devono andarci piano. Il fatto è che Trump per imporre i suoi criteri alle università, specialmente le private più importanti come appunto Harvard, usa i fondi che l’amministrazione federale elargisce alle università private, le quali possono usare centinaia di milioni di dollari statali per erogare borse di studio per svolgere tutte le attività culturali e scientifiche che accompagnano l’università vera e propria, ad esempio, tutti gli ospedali e gli istituti di ricerca clinici, tra cui quelli molto avanzati sul cancro nell’area di Boston.

La storia di Harvard più vecchia degli Usa

La Harvard University è un’antica istituzione inglese e ha 140 anni di vita, più degli Stati Uniti stessi, ed ha laureato sei presidenti degli Stati Uniti. Gode di un prestigio mondiale, ma secondo i repubblicani la sacra istituzione si è un bel po’ approfittata dei suoi privilegi accondiscendendo la cosiddetta cultura Woke, le imposizioni sui sessi dei nomi e pronomi e più che altro per non aver dato cenno di impedire, o almeno arginare, l’ondata di antisemitismo che si è scatenata dopo il pogrom di Gaza dell’ottobre 2023, con la conseguente guerra contro Hamas condotta dal governo israeliano. I cortei pro-Palestina, in tutti gli Stati Uniti e ad Harvard in particolare, si sono trasformati in manifestazioni di globale antisemitismo e di riduzione al silenzio di tutte le voci dissenzienti, poiché la maggior parte dei “donors” ebrei delle grandi università private – che hanno cospicui fondi dallo Stato Federale – insorsero chiedendosi per quale motivo dovessero pagare per tenere in vita un’organizzazione culturale intimidita dai nuovi antisemiti, il tema del Free Speech, la libertà di parola e di opinione diventò uno dei più roventi temi politici.

Kamala Harris, che aveva fortemente sostenuto gli antisemiti pro-Hamas, fece una tardiva marcia indietro durante la campagna elettorale, che perse miseramente tranne che nelle università. Trump, guidato dal suo consigliere Stephen Miller, è passato all’attacco diretto contro la maggiore istituzione minacciando di tagliare i fondi pubblici di cui vive l’università privata se non avesse cambiato e lasciato controllare i criteri dei programmi, delle assunzioni degli accademici, delle borse di studio a studenti stranieri. Harvard ha accettato molto, ma non tutto ciò che riguarda l’indipendenza della scelta di programmi e insegnanti. L’ex Presidente Barack Obama è sceso in campo per la libertà e l’autonomia degli atenei e da quel momento tutte le università, a partire dalla Wesleyan University il cui Presidente Michael S. Roth ha detto: “È come quando un bullo viene fermato perché incontra resistenza. Ed è quel che accade in America quando le istituzioni esagerano in arroganza finché non trovano resistenza”.

La reazione dei federali è stata quella di annunciare l’immediato congelamento di due miliardi e duecento milioni di dollari destinati alle borse di studio insieme a 60 milioni bloccati per i contratti degli insegnanti. Non è un danno enorme perché si tratta solo di una parte dei nove miliardi di dollari che Harvard riceve, più i sette destinati agli ospedali universitari fra cui il Boston Children’s Hospital e il Dape -Farber Cancer Institute.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.