È stato presentato il bilancio di SEIF S.p.A, la società editrice del Fatto Quotidiano e proprietaria della casa di produzione Loft Produzioni. Un documento che, più che rassicurare, solleva interrogativi pesanti come macigni: sulla gestione e sul futuro stesso del gruppo editoriale.
La voce più clamorosa riguarda la Loft S.r.l., società nata dallo spin-off del comparto video di SEIF. Valutata con perizia giurata in oltre 12 milioni di euro, Loft oggi risulta un buco nero nei conti del gruppo: a fronte di vendite per 3.370.827 euro, ha registrato una perdita secca di 1.326.105 euro. E qui la domanda è lecita, anzi obbligatoria: in base a quali criteri si è arrivati a una valutazione di 12 milioni?
La valorizzazione di Loft tiene in piedi il patrimonio
L’intera operazione di spin-off si reggeva su una previsione di utili per il 2024 pari a 482.000 euro, con un fatturato previsto di quasi 5 milioni di euro. Ma la realtà ha smentito clamorosamente le promesse: le vendite sono inferiori del 32% rispetto al piano e invece del profitto atteso, si è verificata una perdita tripla rispetto agli utili stimati. Eppure, nel bilancio consolidato pubblicato da SEIF ad aprile, si legge che “la società Loft S.r.l. opera normalmente”. Una frase tanto rassicurante quanto sconcertante, considerando che è proprio la valorizzazione di Loft a tenere in piedi il patrimonio netto consolidato. Se quella perizia — oggi smentita dai numeri — fosse rivista o corretta, il capitale netto della capogruppo SEIF cadrebbe sotto zero, con l’obbligo di ricapitalizzazione o peggio: messa in liquidazione.
Il business plan da 12 milioni
Il nodo è serio: perché il Consiglio d’amministrazione non ha svalutato la partecipazione in Loft, a fronte di risultati che ne contraddicono ogni ipotesi ottimistica? E ancora: com’è possibile che una società con appena 200.000 euro di cassa sia stata valutata oltre 12 milioni soltanto in virtù di un business plan rivelatosi del tutto fallace? Non mancano infine gli aspetti misteriosi. Ad esempio, la voce di bilancio relativa alla vendita di servizi Loft a clienti internazionali fuori dall’Unione Europea. Saremmo lieti di sapere in quali paesi, tra Oceania, Africa o Asia, si esportano i talk show italiani con Marco Travaglio, Andrea Scanzi e Luca Sommi. Ma soprattutto: chi compra, e quanto paga? Non è chiaro, e in assenza di nomi e contratti, l’operazione per non prestarsi a sospetti di alcun tipo avrebbe richiesto ben altri dettagli.
I conti che non tornano
A proposito di Marco Travaglio, oggi una nuova ombra si aggiunge al momento difficile della società: la Cassazione ha reso definitiva la condanna del direttore per diffamazione nei confronti di Grazia Graziadei, vicedirettrice del Tg1. La vicenda, iniziata nel 2010 da un articolo sul Fatto Quotidiano, ha portato alla condanna al risarcimento di 20.000 euro per aver scritto che la giornalista “sparava cifre a casaccio spacciandole per dati ufficiali del ministero della Giustizia”. È l’ennesimo colpo d’immagine per un gruppo editoriale che si presenta come garante della verità e della trasparenza, ma non di rado sbaglia la mira. I bilanci, poi, si fanno con i numeri, non con le opinioni. E quelli di SEIF – come si può notare – non tornano.
