Trovo che sia istruttivo ragionare in termini divulgativi su tematiche economiche e finanziarie, in quanto è vero che tali conoscenze sono talora scarse – se non assenti – anche in persone con livello culturale elevato ed istruzione anche a livello universitario (o di dottorato). A questo proposito, mi capita spesso di citare un dialogo che ho avuto qualche anno fa con un dirigente d’azienda di alto livello, il quale era convinto che –con la famosa riforma Dini delle pensioni (1995) – il sistema previdenziale italiano sarebbe stato convertito in un sistema a capitalizzazione, cioè in un sistema in cui i contributi previdenziali pagati da una certa generazione sono investiti sui mercati finanziari e costituiscono direttamente il capitale che – insieme con i rendimenti ottenuti – andrà a finanziare le pensioni che quella stessa generazione riceverà una volta uscita dal mercato del lavoro.

Niente di più falso: il sistema previdenziale italiano era e resta a ripartizione (come dico io: “senza tesoretto”), ovvero i contributi previdenziali pagati da ogni generazione vanno a finanziare la pensione di chi in quel momento è già in pensione. Passando dalla finanza pubblica alla finanza privata, potrebbe essere persino vero che – su tematiche che riguardano le decisioni di investimento e finanziamento individuali – persone anche dotate di livello culturale elevato si basino su nozioni sistematicamente errate, così da indurre il sospetto che esse, se non adeguatamente consigliate, finiscano per procurarsi dei danni seri nel momento in cui esse prendono queste decisioni. Uno degli aspetti della finanza meno compresi è che nel medio-lungo termine il valore delle azioni di una data società (cioè delle quote di partecipazione nel suo capitale di rischio) cresca con gli utili futuri e tipicamente decresca con il tasso di interesse utilizzato per scontare a oggi questo flusso di utili futuri. Ciò ovviamente implica che potrebbe essere un’ottima idea dal punto di vista speculativo “anticipare il mercato” e comprare in anticipo le azioni di una società che produrrà utili sorprendentemente più alti. Qui la componente fondamentale del ragionamento sta nell’avverbio “sorprendentemente”: la speculazione al rialzo funziona se riusciamo ad azzeccare una stima degli utili futuri che è superiore a quello che in media i soggetti attivi sui mercati finanziari si aspettano.

Tale gruppo di soggetti è variegato e comprende sia gli investitori attuali nel titolo, che gli investitori potenziali, ma soprattutto include gli analisti finanziari, i quali per definizione studiano il business e la posizione competitiva delle diverse società (in particolare quelle quotate) per farsi un’idea del valore “obiettivo” di ciascuna società, il quale strettamente dipende dal flusso futuro degli utili di cui dicevo sopra. In particolare, gli analisti finanziari cercano di azzeccare la stima degli utili che la società – con cadenza trimestrale o semestrale – annuncia pubblicamente. A tal proposito, nessuno dovrebbe stupirsi del fatto che tipicamente la quotazione dei titoli azionari di una data società faccia un balzo in alto quando gli utili annunciati costituiscono per l’appunto una sorpresa positiva in quanto sono maggiori della previsione mediamente fatta dagli analisti finanziari. Al contrario, se gli utili annunciati contengono una sorpresa negativa, cioè sono inferiori rispetto alla previsione media degli analisti finanziari, tipicamente la quotazione del titolo scende all’apertura del mercato, secondo un meccanismo simmetrico rispetto al precedente.

Sotto il profilo della divulgazione scientifica, ritengo che sia cosa buona e giusta soffermarsi su una società specifica per meglio comprendere queste nozioni relative al funzionamento del mercato dei capitali, cioè attraverso l’applicazione a un caso concreto: nella fattispecie, voglio ragionare nuovamente su SEIF, la società quotata che controlla il Fatto Quotidiano, e voglio in particolare soffermarmi sulle valutazioni formulate dagli analisti finanziari intorno al giusto valore del titolo stesso. Si tenga presente che il titolo è stato quotato alla borsa italiana nel marzo del 2019, con una valorizzazione iniziale di 18 milioni di euro. A oggi siamo a una quotazione molto più bassa, cioè 7 milioni di euro circa. Coloro i quali – ad esempio per l’entusiasmo indotto dalla presenza di forti professionisti come Marco Travaglio, Peter Gomez e Antonio Padellaro – avessero comprato le azioni al momento dell’ingresso in borsa, si troverebbero oggi con una perdita di circa il 61% rispetto all’investimento iniziale: tanto per intenderci, 61 euro persi per ogni 100 euro investiti.

Ma andiamo a guardare le valutazioni degli analisti sul titolo stesso: gli attuali azionisti potrebbero trovare qualche ristoro in una serie unanime di raccomandazioni ad acquistare il titolo. Come raccontato qualche giorno fa da Matteo Predicatori su X fu Twitter, sul terminale Bloomberg compaiono tre analisi sul titolo, che hanno i seguenti prezzi target (tenendo conto che – nel momento in cui scrivo – il prezzo di mercato è di 0,28 euro): 0,4 per Alantra Capital Markets, 0,48 per TP ICAP Midcap, e 0,85 per Integrae SIM Spa, che peraltro è il più recente in quanto risale al 27 ottobre scorso. Che cosa pensare di queste valutazioni? Se il mercato crede alla media di queste valutazioni, allora bisogna verificare se gli utili di SEIF per il 2023 saranno superiori o inferiori rispetto alle previsioni fatte all’interno di questi documenti di valutazione: ad esempio, Integrae prevede per il 2023 una perdita di 2 milioni di euro, seguita da 200mila euro di utili per il 2024, e finalmente 3,1 milioni di euro di utili per il 2025. Tuttavia, la valutazione media di 0,58 euro per azione (la media delle tre valutazioni di cui sopra) è più del doppio della quotazione attuale di SEIF, dunque il signor Mercato – usando la famosa metafora di Benjamin Graham – è più pessimista di questi tre analisti finanziari. Troppo pessimista lui o selvaggiamente ottimisti loro?