Silvia Salis sindaca di Genova, premiata serietà e contatto con la vita concreta dei cittadini

Silvia Salis candidata del contro sinistra vincitrice alle elezioni comunali 2025 a Genova, Italia - 27 maggio 2025 foto LaPresse

Salis ha vinto al primo turno battendo il candidato del centrodestra e interrompendo anni di guida conservatrice in città. Ma ciò che più colpisce non è solo il dato elettorale: è il profilo della vincitrice. Una figura moderata, civica, competente, lontana dai toni accesi e dalle appartenenze rigide della politica nazionale. Silvia Salis non ha urlato, ha parlato. Non ha diviso, ha ascoltato. Non è un caso isolato. A dicembre 2024, anche in Umbria, un’altra donna, Stefania Proietti, ha compiuto un’impresa simile: conquistare la presidenza della Regione, storicamente orientata a destra. Anche lei moderata, cattolica, con una solida esperienza amministrativa, apprezzata per il tono sobrio, per la capacità di tenere insieme mondi diversi, per lo stile più che per lo schieramento.

Due episodi, ravvicinati, che raccontano una tendenza più ampia. In Italia, nei territori, nelle città, la politica gridata non funziona. Vince chi costruisce fiducia. Chi si mostra credibile. Chi ha competenze reali e sa relazionarsi con le persone. Non è la teoria del “centro” come luogo geometrico della mediazione, ma quella della prossimità, della serietà, del contatto con la vita concreta dei cittadini. Una politica che si prende cura, invece di dividere. Lo dimostrano, da anni, figure come Giuseppe Sala a Milano, Antonio Decaro a Bari o Gaetano Manfredi a Napoli: sindaci capaci di costruire consenso largo grazie a un’idea di città fondata sulla competenza, l’inclusione e la concretezza. È anche il senso profondo dei ripetuti richiami del Presidente Sergio Mattarella, quando parla del dovere istituzionale di “ridurre le distanze” tra istituzioni e cittadini e di “saper ascoltare” il Paese reale.

Questa tendenza emerge con forza a ogni tornata amministrativa. Eppure, è sistematicamente ignorata dalla narrazione nazionale. Nel Parlamento e nei talk show dominano leader che parlano a blocchi ideologici, non a comunità reali. I segretari di partito e i loro cerchi ristretti di collaboratori vivono spesso una distanza siderale dalla dimensione del consenso diretto: pochi di loro hanno preso voti veri negli ultimi anni, molti non li hanno mai presi. Nel frattempo, sindaci e assessori – che ogni giorno gestiscono i nidi, le strade, l’emergenza abitativa – si ritrovano soli, senza un progetto collettivo in cui riconoscersi.

Eppure, la forza elettorale c’è. I numeri parlano chiaro: i cittadini si affidano a chi conoscono, a chi ha già dimostrato di saper fare. La politica urlata crea attenzione, ma quella del fare costruisce fiducia. Il vero problema è che nessuno riesce a tenere insieme queste energie locali, a trasformarle in qualcosa di più ampio, nazionale, coerente. Si continua a confondere la ribalta con il radicamento, l’identità con l’identitarismo, il consenso mediatico con il voto reale. Non è solo un discorso italiano. Anche all’estero arrivano segnali simili. In Romania, pochi giorni fa, Nicușor Dan – ex sindaco di Bucarest, civico, pro-europeo, sobrio – ha sconfitto al ballottaggio il candidato dell’estrema destra. Ha vinto perché era credibile, perché parlava a tutti, perché veniva da un’esperienza concreta e non da un laboratorio ideologico. Tutto questo ci dice che la polarizzazione non è un destino. Che l’Italia non è così estrema come appare. Che c’è spazio per una politica più umana, più seria, più responsabile. Il punto è capire se ci sarà qualcuno, finalmente, in grado di farne sintesi. Di unire le forze migliori che già oggi, nel silenzio e nella fatica, amministrano le nostre città e che, insieme, vincerebbero qualsiasi congresso o sfida elettorale. Forse, la risposta alla crisi della politica è già sotto i nostri occhi. Basta saperla guardare, ascoltare e organizzare.