Mentre in Israele si celebra per otto giorni la gioiosa festa di Hanukkah, il Paese riflette sull’orrenda strage di ebrei a Sydney, che continua ad arricchirsi di nuovi e inquietanti dettagli. La cronaca interna israeliana ha nel frattempo ripreso parzialmente a dominare i telegiornali nazionali. Sta suscitando grande scalpore il tentativo, fortunatamente fallito, di rapire una bambina nella città di Be’er Sheva; episodio che ha rivelato un possibile legame con la scomparsa di un’altra bambina a Safed, avvenuta due anni fa e della quale, purtroppo, si sono perse le tracce.

Questi avvenimenti non hanno però distolto il governo israeliano, l’esercito e l’opinione pubblica dall’ipotesi di un intervento militare in Libano, ritenuto sempre più probabile vista l’incapacità dell’esercito regolare libanese di disarmare Hezbollah e di far rispettare il cessate il fuoco del novembre 2024. Al confine con il Libano la situazione resta di emergenza. Le città e le località israeliane sgomberate dopo il 7 ottobre 2023 faticano a riprendere una vita normale: i danni agli edifici non sono ancora stati completamente riparati, e a Kiryat Shmona, la principale città al confine settentrionale, circa il 30% della popolazione non è ancora rientrato nelle proprie abitazioni.

In tutto il nord del Paese si respira un clima di sfiducia e di pericolo per il futuro, che rende l’area economicamente e socialmente depressa. In questi giorni la popolazione protesta contro il governo, chiedendo aiuti concreti e maggiore solidarietà. Lo striscione installato a Teheran, in piazza Palestina, con la scritta «Nahariya, preparati per la prossima guerra», è particolarmente eloquente. Nahariya è una cittadina israeliana all’estremo nord del Paese, al confine con il Libano.

In questo contesto, l’IDF ha condotto un’esercitazione lungo l’intero confine settentrionale. Si teme un possibile attacco dal nord, simile a quello del 7 ottobre 2023. Anche gli abitanti si stanno preparando a una possibile invasione di Hezbollah, che avrebbe dovuto ritirarsi dal sud del Libano in base agli accordi del cessate il fuoco, ma che ha invece ripetutamente violato gli impegni, tentando di ripristinare le proprie infrastrutture militari a sud del fiume Litani.

Il Libano è già a un passo dalla guerra civile: Hezbollah tiene sotto scacco il governo, impedendogli di riabilitare il Paese e di affrancarsi definitivamente dall’influenza iraniana. Se entro la fine di dicembre la situazione non dovesse sbloccarsi, Israele potrebbe intervenire militarmente per allontanare in modo definitivo, almeno nelle intenzioni, la minaccia terroristica dal confine settentrionale.

Se è vero che Israele non può permettere il ripristino della presenza di Hezbollah nei villaggi del sud del Libano, è altrettanto vero che il governo israeliano, insieme a quello degli Stati Uniti, deve trovare un delicato equilibrio per evitare che il Paese dei cedri precipiti nel caos di una guerra civile, che aprirebbe nuovamente le porte all’Iran. Israele deve agire per disarmare Hezbollah, ma con indispensabile cautela: un crollo militare totale del movimento sciita potrebbe infatti produrre l’effetto opposto a quello desiderato.

L’Iran, che l’Occidente dovrebbe isolare economicamente e diplomaticamente, continua invece a non essere affrontato con decisione. Israele non perde di vista il quadro generale dell’aggressione iraniana, e deve reagire tenendo conto della complessità della situazione. La strage di Bondi Beach ha mostrato fino a che punto Teheran possa arrivare nel colpire obiettivi ebraici nel mondo. Se il mondo occidentale inizierà a comprenderlo, forse agirà di conseguenza. L’Iran sembra oggi trovarsi di fronte a un bivio.

Giuseppe Kalowski

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