Ho letto con interesse l’intervista de La Stampa a Paolo Gentiloni di pochi giorni fa, anche perché lo considero uno dei pochi cattolici di sinistra frequentabili. Inoltre, discende dal conte Ottorino, quello dell’accordo con Giolitti per portare i cattolici al voto, ed è persona ammodo e seria. Dico questo perché la lettura della sua intervista mi ha molto colpito negativamente, essendo molte delle sue risposte approssimative e tipiche della euro-crazia per la loro evidente contrarietà ai fatti.
Infatti, da diverse sue risposte si deduce che Gentiloni sia, in modo tipicamente burocratico, favorevole alla uniformazione della pressione fiscale nei Paesi d’Europa. Questa è una tesi molto popolare a Bruxelles che contrasta palesemente con un fatto indiscutibile: l’esistenza dei paradisi fiscali, come anche Gentiloni li chiama, non è un fatto negativo, ma una solida garanzia di libertà dall’oppressione fiscale. È solo grazie al fatto che gli Stati sono liberi di tassare in maggiore o minore misura che ancora non siamo “nella piantagione”, per dirla con de Jasay. La concorrenza fiscale fra i cantoni è l’unica ragione per cui la Svizzera sia il più ricco Paese in Europa. Quasi completamente privo di risorse. Eterogeneo etnicamente, linguisticamente, religiosamente, la Svizzera ha un livello di reddito reale e di benessere superiore a quello di tutti gli altri Paesi europei.
Nel 1970 la Svizzera era al secondo posto nella graduatoria dell’Ocse per reddito pro-capite, la Svezia al terzo. Oggi, la Svizzera è sempre al secondo posto, la Svezia al diciottesimo. La Svezia è omogenea linguisticamente, etnicamente e religiosamente ed è ampiamente dotata di risorse naturali. Eppure la Svizzera, che non ha questi vantaggi, ottiene risultati migliori; perché? Nel 1989 andai a Stoccolma a tenere un discorso all’assemblea della associazione svedese dei contribuenti. Nei giorni che passai a Stoccolma capii che l’occupazione maggiore degli svedesi è trovare modi per evitare di pagare tasse. Le automobili che circolano sono quasi sempre di proprietà della società per cui lavora la persona che le guida. Al ristorante vanno quasi esclusivamente quelli cui l’azienda per cui lavorano ha pagato il pranzo. In quel periodo si era formato in Svezia un nuovo partito, il cui leader, il conte Jan Wachtmeister, prometteva che, in caso di vittoria, gli svedesi avrebbero potuto andare al ristorante come gli italiani!
Per farla breve, a partire dal 1970 la Svezia ha adottato un welfare state costosissimo, per finanziare il quale ha dovuto aumentare le imposte in misura esagerata. La Svizzera, invece, grazie alla sua Costituzione e alla concorrenza fiscale fra cantoni, è riuscita a mantenere le spese pubbliche a circa il 35% del reddito reale, mentre in Svezia in alcuni anni ha superato il 60%. La morale è semplice: i Paesi non nascono ricchi, non sono le risorse fisiche a determinarne la ricchezza, i Paesi diventano ricchi. È il modo in cui trattano il capitale umano che determina la loro ricchezza; se lo lasciano libero di lavorare, produrre e guadagnare, si arricchiscono, altrimenti finiscono in miseria. L’esperienza di Paesi come Singapore, Hong Kong, Taiwan, la Corea del Sud dimostra la prima possibilità in modo esemplare. D’altro canto Cuba, Argentina, Corea del Nord e simili raccontano con la loro miseria l’altra faccia della medaglia. Credo che Paolo Gentiloni dovrebbe pensarci prima di proclamare le giaculatorie di moda a Bruxelles. E quanto ho detto sulla politica tributaria vale in misura ancora maggiore per le baggianate eco – catastrofiste.
