Contrordine: Piero Amara non è più un pericoloso millantatore ma è tornato nuovamente a essere un pentito serio e attendibile. Dopo la pubblicazione la scorsa settimana dei verbali delle dichiarazioni dell’avvocato siciliano sulla Loggia Ungheria, come si ricorderà, erano fioccate le smentite e le querele da parte dei soggetti chiamati in causa. Amara aveva fatto ai pm di Milano Laura Pedio e Paolo Storari, alla fine del 2019, decine e decine di nomi di magistrati, di alti ufficiali delle forze dell’ordine, di professionisti, e di imprenditori. Il Fatto Quotidiano, che aveva avuto i verbali di Amara e aveva aspettato quasi un anno per pubblicarli, aveva titolato “Amara costruiva le accuse e poi le offriva ai magistrati”, ricordando anche l’indagine per calunnia nei suoi confronti.
Ieri, invece, il cambio di passo. Un deciso cambio di passo: “Loggia Ungheria, primi ‘riscontri’ dei pm sulle rivelazione di Amara”. Cosa è successo? Pare che il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, che indaga su Ungheria, abbia risentito Amara in questi giorni, trovando dei riscontri alle sue testimonianze. Amara si trova attualmente in carcere in quanto, per una precedente condanna, il Tribunale di sorveglianza ha respinto la sua richiesta di affidamento. A Perugia, comunque, Amara è già stato indagato per millantato credito e traffico di influenze illecite. Il procedimento penale ha riguardato anche l’avvocato Giuseppe Calafiore che avrebbe dato 30mila euro all’ex componente dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi), il maresciallo dei carabinieri, Loreto Francesco Sarcina come presunto prezzo di una mediazione illecita.
L’ex 007, sfruttando e vantando relazioni con pubblici ufficiali si era fatto consegnare questa somma per reperire informazioni sulle indagini in corso nei confronti di Amara e Calafiore presso le Procure di Roma e di Messina. Inoltre, parte di questa somma sarebbe servita per remunerare i magistrati in servizio presso la Procura della Capitale co-assegnatari di un procedimento nell’ambito del quale i due erano sottoposti a indagini e rispetto ai quali Sarcina millantava credito. Si trattò, come venne accertato, di una calunnia di Amara nei riguardi dell’ex pm romano Stefano Rocco Fava, l’unico magistrato italiano che voleva arrestarlo e sequestrarne l’ingente patrimonio. Interrogato dalla Procura di Roma il 17 luglio 2018 sulle fonti investigative che gli consentivano di avere notizie delle indagini a suo carico, Amara aveva fatto il nome di Sarcina. Ad Amara venne quindi chiesto chi fosse materialmente a fornire a Sarcina le notizie visto che costui non era tra coloro che facevano le indagini essendo in forza ai servizi di intelligence.
A quel punto Amara tirò fuori dal cilindro proprio il nome di Fava, dicendo di averlo appreso dallo stesso Sarcina, posto che Amara e Fava non si erano mai conosciuti e non avevano avuto alcun rapporto né diretto né indiretto. Inoltre Amara era anche in possesso dei files delle informative prima ancora che venissero depositate in Procura e quindi la sua fonte poteva essere soltanto qualcuno della guardia di finanza, il reparto che stava svolgendo le indagini, che però Amara non ha mai rivelato nei suoi innumerevoli interrogatori. Sarcina, ed ecco il colpo di scena, venne interrogato dal colonnello del Gico della finanza Gerardo Mastrodomenico, lo stesso che aveva fatto le indagini su Luca Palamara, e dall’aggiunto Paolo Ielo il 7 marzo 2019 a Regina Coeli, dopo essere stato arrestato.
Sarcina dichiarò di aver avuto le notizie, poi vendute ad Amara per 30mila euro, da un dipendente della Procura generale di Roma di nome Gennaro De Pasquale, cugino di un procuratore che si chiama De Pasquale che gli aveva detto di averle avute da alcune sue fonti della guardia di finanza e dallo stesso Ielo. Praticamente da coloro che stavano svolgendo l’interrogatorio in quel momento. Un colpo di teatro.
