Trump perde il primo round sui dazi e promette ricorso. Nodo Elon Musk: c’è un rapporto da ricucire

Donald Trump subisce il primo colpo di “avvertimento” dal fronte interno. Il più difficile da gestire, il più delicato, ma anche quello più importante. La corte federale del commercio degli Stati Uniti ha infatti bloccato i dazi voluti dal tycoon nel cosiddetto “Liberation’s Day” del 2 aprile. E così facendo, ha reso illegittima una delle mosse che finora hanno caratterizzato il secondo mandato di The Donald alla guida della Casa Bianca.

Le denunce e la tesi accolta

La decisione arriva dopo una serie di cause con cui i ricorrenti denunciavano tutti la stessa cosa: che il presidente non aveva l’autorità per imporre in via unilaterale delle tariffe doganali di quel tipo. E questa tesi, alla fine, è stata accolta anche dai giudici della Court of International Trade, che hanno dato all’amministrazione repubblicana un termine di dieci giorni per fermare i dazi, dichiarati illegittimi in quanto avrebbero violato l’International Emergency Economic Powers Act del 1977 (salvando però quelli su acciaio, alluminio e automobili perché basati sulla legge del 1962). Come spiegato dalla Cnn, quella norma del 1977 dà infatti al presidente Usa il potere di reagire a delle minacce straordinarie, ma non di farlo attraverso i dazi globali e a tappeto ordinati dal tycoon. E i giudici hanno chiarito che questa legge non fornisce alcun potere “illimitato” a favore del capo della Casa Bianca. Come ovvio, l’amministrazione Trump ha subito annunciato ricorso. Una scelta naturale, che però il portavoce Kush Desai ha condito anche della tipica retorica di The Donald. “Non spetta a giudici non eletti decidere come affrontare adeguatamente un’emergenza nazionale”, ha detto il funzionario, “il presidente Trump si è impegnato a mettere l’America al primo posto e l’amministrazione è determinata a utilizzare ogni leva del potere esecutivo per affrontare questa crisi e ripristinare la grandezza americana”. Stephen Miller, invece, ha parlato direttamente di “colpo di stato giudiziario”. E l’impressione è che questo possa essere l’inizio di una guerra lunga e impegnativa.

Un conflitto logorante e su più fronti

Un conflitto su più fronti, che rischia anche di diventare logorante. Perché, da una parte c’è questa battaglia legale sui dazi che rischia di arrivare fino alla Corte Suprema, alimentando l’incertezza normativa. “In assenza di almeno un provvedimento provvisorio da parte della Corte di appello, gli Stati Uniti prevedono di chiedere un provvedimento d’emergenza alla Corte Suprema”, ha dichiarato ieri il Dipartimento di giustizia. Dall’altra parte, c’è anche lo scontro con le aziende che non vogliono rinunciare a investire all’estero ma a cui Trump ha fatto capire di non volere concedere spazio di manovra. Secondo il Financial Times e il New York Times, diverse imprese dell’aeronautica, dei semiconduttori e del settore chimico hanno ricevuto l’ordine dal Dipartimento del commercio di non esportare più in Cina. Una mossa realizzata per spingere Pechino a rimuovere le restrizioni sull’export di minerali critici. E tra Wall Street e borse mondiali che brindano, un’amministrazione che deve rispondere a questa sentenza, e aziende in fermento (Boeing ha già detto che dal prossimo mese riprenderà le consegne di aerei alla Cina) Trump potrebbe essere costretto a cambiare strategia. E non solo sul piano interno, ma soprattutto sul piano internazionale, dove è stato privato per vie legali di una delle sue più importanti leve negoziali.

Il nodo Elon Musk

Una fase particolarmente delicata, quindi, mentre The Donald deve sciogliere anche il “nodo” Elon Musk. Il capo di Tesla e SpaceX ha annunciato la fine del suo ruolo alla guida del Doge, il Dipartimento per l’Efficienza Governativa. Una fine “naturale”, dicono, arrivata alla scadenza del mandato dopo 130 giorni. Ma agli osservatori non sono sfuggite né la rapidità dell’operazione né la freddezza dei saluti. In questi giorni, inoltre, il magnate ha espresso critiche sulla legge sui tagli fiscali voluta da Trump. Legge che per Musk “aumenta il deficit di bilancio, invece di ridurlo, e mina il lavoro che il team Doge sta facendo”. E non è un mistero che nelle ultime settimane qualcosa si sia rotto tra il presidente e il suo potente consigliere e sostenitore. Un uomo che era diventato di casa a Mar-a-Lago e nei corridoi della “White Hose” e che a un certo punto sembra abbia iniziato a essere sempre più inviso a segretari e alti funzionari. Fino a non essere più l’inseparabile amico del presidente in grado di gestire tutti i principali dossier dell’agenda della Casa Bianca.