Università vittime del caos, tra pochi collegamenti e zero sicurezza

Da qualche anno la Federico II, il più grande e più antico ateneo del Mezzogiorno, si colloca agli ultimi posti della classifica delle università italiane stilata dal Censis. Questa collocazione negativa è certamente l’effetto del contesto ambientale in cui opera l’offerta formativa e non dipende dalla qualità della docenza o dall’assenza di riconosciute eccellenze internazionali.
Tuttavia si deve constatare come, in questi anni, nulla sia stato mai fatto per risolvere almeno in parte il problema del cosiddetto “contesto ambientale” che tanto incide sulla tranquilla fruizione dei servizi formativi. Si è registrato storicamente uno iato profondo tra le esigenze di crescita del mega-ateneo federiciano (ma anche di altri atenei che operano nella stessa zona) e il contesto urbanistico in cui le strutture sono state inserite. È noto, per esempio, che il grande complesso costruito a Monte Sant’Angelo dopo trenta anni non ha ancora un collegamento ferroviario diretto. È noto come tentativi di delocalizzazione come la costruzione della nuova sede di Agraria a Ercolano siano stati bloccati da problemi burocratici. Ed è altrettanto evidente che l’insediamento a San Giovanni a Teduccio rischia di rimanere una cattedrale nel deserto, in mancanza di un coerente piano di risanamento urbanistico del quartiere.
Se il futuro della nostra città, come spesso si è detto in questa campagna elettorale, si giocherà sul turismo e la formazione, non si può più prescindere da una logica di programmazione urbanistica in cui inserire la variegata e qualificata offerta formativa dei quattro atenei napoletani che utilizzano strutture nel centro storico. Certo, non sarebbe possibile costruire campus di tipo anglosassone nel centro di una grande città, ma neppure si può più tollerare il folkloristico caos che caratterizza le zone adiacenti le sedi della Federico II. Quel caos richiama alla mente più una città sudamericana che l’assetto urbanistico di una metropoli che aspira a essere una delle capitali europee.

Con la candidatura dell’ex rettore della Federico II, Gaetano Manfredi, di fatto le professionalità e le competenze dell’ateneo saranno messe a disposizione  della città. Che sia eletto sindaco o che diventi leader dell’opposizione, Manfredi dovrà svolgere un ruolo importante per migliorare quel contesto che tanto pesa sulla valutazione dell’ateneo napoletano. Ma occorre mettere da parte le polemiche e le strumentalizzazioni che hanno caratterizzato il recente dibattito elettorale sull’università e dimostrare coraggio, lo stesso coraggio che ebbe Antonio Bassolino quando restituì Piazza del Plebiscito alla città, strappandola alla degradante funzione di area di parcheggio: una scelta, quest’ultima, che segnò una svolta, una rinascita, divenendo il simbolo di un nuovo inizio. E, se fosse rieletto sindaco, dovrebbe avere lo stesso coraggio.

È chiaro che non si può lasciare l’ateneo nel contesto di una strada a scorrimento veloce, come è oggi Corso Umberto, con sedi che sono accanto a palazzi pericolosamente fatiscenti, ancora segnati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, a contatto con un ambiente sociale degradato fatto di parcheggiatori abusivi, la cui guerra per il controllo del business delle moto in sosta portò anche a una esecuzione camorristica a Porta di Massa, sotto gli occhi degli studenti di Giurisprudenza, nel maggio 2015. Se si vogliono tenere le strutture universitarie nel centro storico, dunque, non si può rinunciare a risanare il contesto urbanistico uscendo da un atteggiamento di nicodemica indifferenza. Usando il buon senso si potrebbe delimitare un’area universitaria chiudendo al traffico automobilistico il tratto di Corso Umberto tra Piazza Nicola Amore e Piazza Giovanni Bovio.

Si creerebbe così, tra le due stazioni metropolitane, una vasta area pedonale e le vie perpendicolari e parallele tra questi due estremi (cioè via Duomo, via San Felice, via Marina) potrebbero essere utilizzate come assi di scorrimento viario. Tale zona pedonale, servita da parcheggi pubblici ai suoi confini, collegata al resto del centro storico pedonalizzato, dovrebbe essere dotata di un arredo urbano decoroso e si dovrebbero abbattere o ristrutturare i palazzi fatiscenti della zona, procedendo anche con espropri. Una tale area universitaria, costituirebbe un polo di sviluppo della città e potrebbe essere posta sotto la gestione diretta degli stessi atenei coinvolti, attirando investimenti, turismo qualificato e iniziative culturali. E, senza ombra di dubbio, costituirebbe un contesto tranquillo per chi studia. Con i fondi europei in arrivo non ci sono più alibi: bisogna solo superare una mentalità passiva e rinunciataria che costituisce la vera decadenza della nostra città.