Woodcock trombato, il pm dei trojan e dello sputtanamento mediatico bruciato da Paci alla Procura di Reggio Emilia

Henry John Woodcock puntava a diventare capo della Procura di Reggia Emilia: il Consiglio superiore della magistratura lo ha trombato. La corsa del pm anglo-napoletano era stata già rallentata dalla Commissione incarichi direttivi che non aveva dato a lui le preferenze e poi, ieri sera, è stata definitivamente stoppata dal Plenum del Csm che ha nominato Calogero Paci alla guida dell’ufficio inquirente emiliano. Niente sogni di gloria, quindi, per il pm Woodcock che resta a Napoli, nella Procura da ieri senza più Giovanni Melillo come capo, visto che il Csm lo ha scelto per la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo.

Resta a Napoli, Woodcock, dove le sue inchieste procedono con risultati per nulla entusiasmanti, sicché di fronte a indagini tanto mediaticamente risonanti quanto prive di solide fonti di prova è lecito avere perplessità sul lavoro della Procura. «Il mondo si divide in chi è stato già intercettato e in chi non lo è stato ancora» diceva un magistrato della Procura di Napoli sul conto del pm Woodcock. Quella frase è diventata un modo per definire il metodo investigativo del pm, il suo teorema di indagine. Trojan, manette, sputtanamento mediatico, intercettazioni che non diventano prova e restano solo fango.

Tutti ricordano, per esempio, il clamore suscitato dall’inchiesta sui vertici dell’università telematica Pegaso e lo spazio in prima pagina che molti giornali riservarono alla ricostruzione del pm Woodcock, secondo il quale quei vertici avrebbero fatto votare un emendamento nella passata legge di Bilancio per cambiare il regime fiscale nei confronti degli atenei privati. Si gridò alla corruzione, all’ennesimo scandalo. Salvo poi rimangiarsi ogni parola quando il Riesame non solo annullò tutti i sequestri di cellulari e tablet ma bacchettò severamente la linea dell’accusa, smontandola.

 

«Come se normalmente le leggi di Bilancio venissero approvate in primavera o in estate e non calendarizzate, da secoli e in qualsivoglia Paese del mondo, in autunno e approvate entro il 31 dicembre di ciascun anno e come se gli emendamenti da apportare ai disegni di legge venissero predisposti prima delle stesse proposte normative e non “a sorpresa” in sede di discussione in Commissione o in Aula», scrivevano i giudici del Riesame a proposito dell’inchiesta Pegaso. Quell’inchiesta è stata poi archiviata. Un flop. Strapperebbe un sorriso se non fosse drammaticamente vero quando accaduto nel corso del processo a Napoli in cui sono imputate una cinquantina di persone (per reati che, udite, avrebbero fruttato un guadagno di circa 20 euro a testa) e tra le quali c’è l’imprenditore Alfredo Romeo (che è anche editore di questo giornale, ma questo non incide sull’episodio che sarebbe ugualmente drammatico se riguardasse qualunque altro cittadino).

Tralasciando, dunque, considerazioni sul merito delle vicende al centro del processo, quello che farebbe sorridere se non fosse drammatico, dicevamo, è la circostanza portata in dibattimento dall’avvocato Vignola del collegio di difesa, e cioè che nel corso delle indagini, nel 2016, fu intercettata una telefonata tra due dirigenti dell’azienda di Romeo: uno da Napoli convocava l’altro a Milano in quanto «esperto del crimine». Quando tempo dopo uno dei due dirigenti fu convocato dagli inquirenti per approfondire quella pericolosissima convocazione e gli venne fatta ascoltare la conversazione intercettata, questi non riuscì a trattenere le risate: «esperto di cleaning» si diceva, vuol dire di pulizie. E le pulizie sono uno dei servizi che l’azienda fornisce. Altro che crimine. Un errore di traduzione, quindi.

«Possibile che un pm anglo-napoletano cada in un simile errore?» chiese l’avvocato in aula. Il pm arrossì. Ma pensare che quell’intercettazione fu tra le prove sulle quali furono decise misure cautelari crea un certo sconcerto. Non è la prima “svista” nella storia delle inchieste firmate dal pm che sognava da capo a Reggio Emilia prima del brusco risveglio, ieri sera, dopo il Plenum del Csm. Andando indietro nel tempo ci si imbatte nelle manomissioni ad opera dell’ex capitano del Noe Giampaolo Scafarto nella famosa inchiesta Consip su Alfredo Romeo e Tiziano Renzi. E ancora sviste su nomi e parole incomprensibili o compresi male nelle intercettazioni nel processo alla coop Cpl Concordia, poi conclusosi con una raffica di assoluzioni. Altro flop della Procura. E del pm Woodcock.