La famosa Union Jack e il vessillo di san Giorgio, simbolo della storica Inghilterra, sono al centro della contesa politica in Gran Bretagna. Le due bandiere da qualche settimana sventolano alle finestre e sulle strade d’oltremanica. Ma non si tratta di amarcord nazionalista o di un fenomeno pop. I vessilli questa volta fluttuano per un altro vento, quello che soffia tra gli inglesi stanchi della crisi economica, dell’immigrazione clandestina e, soprattutto preoccupati per l’irrefrenabile aumento della presenza islamica nelle loro città.

La forma di protesta

Così hanno scelto questa forma di protesta identitaria e simbolica, già diventata virale sui social, per far sentire la propria voce. E quello che dovrebbe essere un simbolo di unione sta diventando motivo di polemica dentro il Parlamento di Londra e, soprattutto nelle zone più povere del paese, in quelle città del nord un tempo fieramente operaie, dove si ripetono ormai senza sosta anche gli scontri tra cittadini e polizia. Qui il tasso di disoccupazione e di abbandono scolastico è alle stelle e la presenza di una manodopera sottopagata di origine straniera non fa altro che alimentare il malcontento e fa volare Reform UK, il partito nazionalista di Nigel Farage che un sondaggio recente dà oltre il 35%. Se fino a poco tempo fa l’ambizione di Farage di guidare il Paese poteva sembrare un azzardo, oggi, il clima che si respira in Gran Bretagna lo rende una prospettiva più che probabile.

Misure anti-crisi

Il premier laburista Starmer tenta di correre ai ripari. La prima a farne le spese è Rachel Reeves, ministro del Tesoro, di fatto scavalcata e commissariata con la creazione a Downing Street di un super gabinetto economico formato dal suo vice Darren Jones, molto amato dai mercati internazionali, e dalla baronessa Minouche Shafik, ex vicegovernatrice della Banca d’Inghilterra. Entrambi affiancheranno d’ora in avanti il primo ministro per studiare misure anticrisi. Starmer poi si è presentato in tv e si è rivolto direttamente ai cittadini con parole che a fatica si possono ascrivere al vocabolario progressista ma che parlano alla pancia della protesta: “se entri nel paese illegalmente verrai cacciato”, oppure “un hotel con richiedenti asilo vicino casa? Non lo vorrei nemmeno io” ha dichiarato senza mezzi termini.

Starmer deve guardarsi alle spalle

Evidentemente tutto questo sventolare di bandiere non deve aver lasciato indifferente il primo ministro che ne ha però stigmatizzato l’uso strumentale e ha accusato Farage di essere solo interessato alla politica del risentimento. Ma Starmer deve guardarsi le spalle anche a sinistra. Proprio ieri l’ex leader laburista, il comunistissimo e indomito ProPal Jeremy “il rosso” Corbyn, ha presentato il suo nuovo partito “Your Party”. Parole d’ordine non tanto dissimili da quelle di Farage, che è forse il suo vero contendente nella corsa agli scontenti. I primi sondaggi lo danno già oltre il 6%. Un’altra tegola sulla testa di Starmer. E intanto si fa sentire anche l’immancabile Elon Musk che su X ha accusato i laburisti di “voler stuprare il Regno Unito”. Nel frattempo, anche i conservatori attaccano a testa bassa e facendo leva sul sentimento nazionale cavalcano la protesta dei vessilli che colora sempre di più una Gran Bretagna che appare dilaniata da una tensione per cui nessuno ha una soluzione facile. Ma un fatto è certo: non sarà la propaganda sbrigativa di Reform o l’amarcord socialista di Corbyn a portare il Paese fuori dalla palude della crisi e del risentimento.