Qualche giorno dopo il suo funerale, nella chiesa di Sant’Eusebio a Piazza Vittorio, provo a mettere insieme i pensieri, a dire qualcosa anch’io su Ada D’Adamo. La sua è una storia tragica, è vero, ma non è una storia triste. Ada è morta il 31 marzo, ma a me non sembra morta, ricompare ovunque, nei miei momenti privati ma ormai anche fuori, nel mondo pubblico, ovunque alzi gli occhi, si è sparsa, è come d’aria. Come d’aria è il titolo del suo libro pubblicato da Elliot, entrato nella dozzina del premio Strega il giorno prima della sua morte. Ada racconta di sua figlia Daria, nata quasi diciotto anni fa con una disabilità gravissima per via di una mancata diagnosi, una disabilità che le precludeva la speranza di arrivare un giorno a camminare o a parlare e imponeva un’attenzione, un accudimento senza freni.

Ada lo racconta nel libro, e racconta tutto quello che è seguito dopo, la scoperta della condizione di madre di una persona disabile, l’attraversamento della rabbia, dello sconcerto, della tenerezza, dell’ironia, dell’amore. Ada era stata una danzatrice, ha scritto e curato saggi sulla danza, aveva collaborato con Mario Martone al Teatro di Roma. Non si è fatta mai mancare l’arte. Non ci conoscevamo poi così bene, ma c’era stato fra noi un momento felice, nel 2009, Elena Stancanelli mi aveva portato a casa sua e lì avevo conosciuto Daria ancora molto piccola, che non poteva fare molte cose ma se la rideva se sua madre le toccava la pancia, e se la rideva anche quando le toccavo la pancia io, perché Ada si era fidata e me l’aveva messa in braccio. Con Elena le avevamo detto che sarebbe stato importante che lei raccontasse la sua storia, avevamo insistito. Poi, nel tempo, Elena l’ha incontrata spesso, io meno.

Negli anni c’eravamo viste, lei con Daria, io con mia figlia che studiava nella stessa scuola ma non nella classe di Daria. Quando a Elena e a me è arrivato il libro, sul momento ci è sembrato un miracolo. Aveva davvero scritto la sua storia ed era un libro bellissimo, una potente opera letteraria. Ada racconta che aveva molti appunti su Daria e sulla vita che viveva e le si viveva attorno, ma solo quando si è ammalata lei, quando ha avuto una diagnosi di tumore, la scrittura ha cominciato a prendere ordine, forma, durata. Il senso dell’arte, il senso dei corpi, la precisione dello sguardo, tutta l’esperienza di lettrice, di danzatrice, di spettatrice, tutto è venuto a servirla, a fare la sua parte. Mi immagino Ada come Prospero nella Tempesta, quando chiama gli elementi a servirlo. Non si è mai spenta in Ada l’attenzione per il mondo, per chi le stava accanto in ospedale, le madri e i padri dei bambini disabili, consunti, sformati, i dottori e le dottoresse svuotati e resi gelidi, le strade, Daria e la sua crescita, i corpi in movimento, la danza della fatica.

L’acutezza dell’attenzione le ha permesso di scrivere un libro crudele, implacabile, perché Ada non dà tregua, ma anche ironico, è un libro che ha per chiave una curiosità invincibile che si è nutrita ed è cresciuta attraversando proprio quella vita. Chi si è trovato il libro in mano come me e Elena Stancanelli e l’ha letto, ha avuto l’impressione di un regalo sorprendente e si è mosso perché non rimanesse solo suo. Quando è arrivato in mano a Lorella Santini di Elliot, c’era già una catena di amiche e amici insieme a Lorella da ringraziare. Lorella Santini ha avuto coscienza di quanta fretta ci fosse e ha sentito l’urgenza di mettere il libro nelle mani delle lettrici e dei lettori. Lettrici e lettori l’hanno accolto com’era successo a noi, hanno avvertito di trovarsi davanti un libro che benché racconti dal piano di maggior fatica, di maggiore gravità, tutto è tranne che un lamento, un libro che dice tutto insieme: il dolore, la bellezza, la violenza e una profonda gratitudine. È successo qualcosa, con il libro di Ada, la sua voce che ancora c’è è un piccolo trionfo sulla morte.