Il mondo corre. L’Italia indugia. Questo è quanto emerso lo scorso 8 luglio presso la Camera dei Deputati – a seguito del ‘geoEconomic Summit on capital, conflict and cooperation’. Si è discusso di strategie, capitali e conflitti in un’atmosfera sobria, densa di contenuti e priva di clamori. Nessun talk show urlato, solo ambasciatori, economisti e analisti, riuniti per parlare di futuro e competitività. Di quello vero, non del futuro che si misura a colpi di bonus fiscali e hashtag.

Tre sessioni, un filo rosso: l’Italia non può più permettersi di vivere di rendita, né di galleggiare in un mondo che cambia con la velocità di un algoritmo. E mentre fuori da quelle stanze il Palazzo si preoccupava dell’ennesimo regolamento balneare o dell’ultima rissa digitale, dentro si parlava di sicurezza energetica, di catene del valore globali, di innovazione e intelligenza artificiale.

La diagnosi è impietosa: “Siamo un Paese che investe poco in ricerca – basti pensare al settore biotecnologico o a quello aerospaziale – ma non solo; rischiamo di soffocare anche l’innovazione sotto la burocrazia”. Le tre priorità dovrebbero essere: alleanze strategiche al netto della linea europea; tecnologia e innovazione come leva produttiva; resilienza nazionale come protezione dalle crisi globali e geopolitiche. Fondamentale, dunque, costruire alleanze bilaterali e multilaterali in grado di tutelare i propri interessi vitali, a partire dall’energia e sicurezza; ridurre al minimo la nostra dipendenza da fornitori esterni; e colmare il divario tecnologico e digitale.

Francesco Talò, Ambasciatore di lungo corso, ha aggiunto il suo monito ricordando quanto la guerra non sia un mero concetto da libri di storia, ma una costante che impone di ripensare la difesa non come un lusso, bensì come garanzia di prosperità. “Libertà di navigazione, sicurezza delle rotte marittime e forza militare sono condizioni necessarie per continuare a esportare e far pagare le bollette alle famiglie” ha ammonito Talò, sottolineando al contempo come l’Italia continui a vivere di illusioni da “Occidente intoccabile” mentre le potenze emergenti ridisegnano gli equilibri globali. Così mentre le superpotenze costruiscono il XXI secolo, l’Italia sembra sospesa in un eterno presente, prigioniera di polemiche sterili e di una miopia strategica. Il rischio non è astratto. Potenze come Cina, India e Turchia, stanno costruendo il futuro con investimenti e infrastrutture mirate, mentre noi ci accapigliamo sull’inaccapigliabile. Dello stesso avviso l’Ambasciatore Giorgio Malfatti di Monte Tretto, che ha invitato a guardare con pragmatismo alle aree dove Roma avrebbe ancora un credito da spendere: l’Africa, dove l’Italia non è percepita come colonizzatore; l’America Latina, dove abbiamo perso terreno; e l’Asia Centrale, cruciale per l’energia. “Non basta fare i buoni samaritani, servono investimenti veri e relazioni solide, altrimenti resteremo fuori dal tavolo che decide il nostro futuro”.

Ma qui la domanda è un’altra: abbiamo ancora la credibilità per giocarci quelle carte? O ci siamo ridotti a mendicare spazi diplomatici mentre Pechino e Mosca firmano accordi strategici a colpi di miliardi? Ancora più tranchant la linea del Sinologo Francesco Sisci: “Senza un piano strategico verso la Cina, l’Italia rischia di svanire”. Ha quindi invocato la creazione di un “centro di coordinamento” per Pechino, denunciando la fuga di capitali e cervelli che sta svuotando il Paese. “Abbiamo un’Italia spaccata tra nord e sud, aziende che scappano e giovani talentuosi che emigrano. Se la politica non concepisce riforme radicali, la stabilità dovrà nascere altrove, forse dal Quirinale”. A questo punto bisognerebbe, in primis, interrogarsi se la politica italiana sia effettivamente in grado di concepire un piano di lungo periodo, data la genetica politica che ci rende spesso incapaci di guardare oltre i sei mesi che separano un governo da una crisi. Anche sul fronte interno le diagnosi non sono state meno severe. Il professore Beniamino Quintieri, autorevole economista, ha dipinto un’Europa in ritardo sul reshoring: “La Cina continua a invadere i nostri mercati con auto elettriche e pannelli solari mentre l’Italia resta ostaggio di burocrazia e tassi interni che ne bloccano l’efficienza. Senza una Europa muscolare, non avremo nemmeno diritto di parola”.

Ma le nostre élite hanno ancora la forza di rompere con il piccolo cabotaggio del consenso immediato? La denuncia sull’arretratezza digitale – nel riprendere le parole introduttive del Chair del Summit – è stato il Presidente dell’ANGI (Associazione Nazionale Giovani Innovatori) Gabriele Ferrieri. Solo il 46% della forza lavoro ha competenze digitali di base e gli investimenti in ricerca sono meno della metà della media UE. “Non basta celebrare brevetti: dobbiamo trasformarli in imprese e crescita economica”. Un problema di autonomia, economica e strategica, che secondo Niccolò Papa, Presidente di Advanced Modeling Institute, tocca anche il sistema bancario. Egli ha infatti acceso i riflettori sul fatto che l’85% dei finanziamenti per acquisizioni societarie in Italia è gestito da banche estere. Il risultato è un tessuto produttivo che perde autonomia e diventa terra di conquista finanziaria. Serve un equilibrio per restituire dignità anche al nostro sistema bancario. La sala è stata raggelata, infine, dalle parole notoriamente poco ottimiste di Andrea Margelletti, Presidente del CeSI (Centro Studi Internazionali) che ha dato una asettica stoccata: “Io credo che entreremo in guerra. L’Europa va verso un conflitto, mentre l’Italia si comporta come se il tornado globale fosse solo una folata di vento. La sicurezza non è un lusso, ma la condizione per restare nel mondo che conta”, accennando anche la metafora del complesso dello struzzo secondo cui preferiamo mettere la testa sotto la sabbia, fingendo che basti il made in Italy per tenere il passo. Ma non funziona così. Paolo Quercia, Direttore del Centro Studi e Analisi del Ministero delle imprese e del Made in Italy, ha proseguito sintetizzando la sfida in una frase: “Senza un cuore industriale solido, non c’è autonomia strategica, né crescita economica, né capacità di difesa”. Secondo Quercia occorre invertire il declino rilanciando una manifattura moderna, capace di innovare nei settori di frontiera e di aumentare il valore aggiunto della produzione italiana. “Non basta consumare tecnologia: dobbiamo anche produrla”.

L’onorevole Vito De Palma, avente l’iniziativa, Capogruppo FI in VI Commissione Finanze, ha spostato il focus sul Mezzogiorno affermando che le imprese non hanno bisogno di elemosine, ma di un concreto aiuto tale da poter agire subito. Ha citato una ZES unica per il Sud e uno sportello unico autorizzativo, atti a trasformare il Sud in un hub competitivo del Mediterraneo. A concludere, il Professor Marco Mayer, esperto di politica internazionale e cybersecurity, il quale ha proposto un’idea tanto semplice quanto rivoluzionaria: usare l’AI per abbattere le barriere linguistiche in Europa. “Non è solo tecnologia, ma un volano di integrazione”. Eppure, in Italia, nessuno sembra scommetterci.
Chi scrive queste righe ha ascoltato per ore riflessioni nitide, fondate, spesso coraggiose. Ha provato a intrecciare visioni diverse costruendo un confronto sincero tra mondi distanti: diplomazia, economia, finanza, tecnologia, politica. L’Italia si trova dinanzi ad un bivio. Può scegliere di essere protagonista, oppure restare comparsa elegante in un film scritto da altri. La sensazione, tuttavia, è che il rischio sia sempre lo stesso: un Paese che sa parlare benissimo di futuro, ma che preferisce rinviarlo a domani. Il vero patriottismo, oggi, non è gridare slogan populisti o pro partito in tv, quanto piuttosto sedersi a tavoli come questo, dove si plasma il destino di una nazione.

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