La notizia positiva è che Draghi sembra aver scelto la linea della diplomazia. Forse anche con un ripensamento rispetto all’atteggiamento muscolare e “bidenista” che aveva assunto nelle settimane scorse. Non è che sia chiarissimo cosa si siano detti con Putin (il russo è una lingua difficile…) sembra però che da questa telefonata il premier sia uscito abbastanza convinto che il compito dell’Italia sia essenzialmente quello di esercitare la pressione diplomatica e spingere per il compromesso. Molto più che armare gli ucraini.
Le notizie negative sono due. La prima riguarda il gas. Sembra che Putin ieri abbia presentato il diktat all’Europa: o lo pagate in rubli o niente gas. Il giorno prima a Draghi aveva detto il contrario. E’ braccio di ferro? Rischiamo di restare senza gas? L’impuntatura sul pagamento in rubli potrebbe nascondere un calcolo piuttosto furbo: se si paga in rubli attraverso una banca russa, che cambia euro e dollari, questo farebbe probabilmente saltare alcune sanzioni che riguardano i pagamenti internazionali.
La seconda cattiva notizia è che la decisione italiana di aumentare le spese militari si presenta come irreversibile. E non è legata all’Ucraina. È una scelta strategica. I Cinque Stelle, o più precisamente Giuseppe Conte, sembravano nei giorni scorsi intenzionati a porre pregiudiziali non negoziabili. Non era vero. Erano molto negoziabili, come del resto tutto è negoziabile nella storia dei 5 Stelle. Conte si è limitato a chiedere una piccola dilazione dei tempi, accettando che comunque, in tempi brevissimi, le spese aumentino ed arrivino fino al 2 per cento del Pil.
Lui – Conte, dico – si è improvvisamente inventato pacifista, spinto credo dalle scelte editoriali del Fatto di Travaglio, ma il pacifismo è una idea un po’ complessa e che ha una storia lunga e che è piena di pensieri. Non è adatta forse a Conte, che fino a 55 anni di età non ha fatto politica ma si è limitato alla professione di avvocato di affari, dicono con ottimi risultati. Così il capo dei grillini ha finito per contestare la scelta dell’aumento delle spese militari per ragioni economiche e non ideali, e lo ha fatto circa una settimana dopo che il partito da lui guidato aveva votato in Parlamento per l’aumento delle spese militari. È un caso, immagino, che finirà nei manuali di storia parlamentare, perché non era mai successo che un partito in pochissimi giorni decidesse di ribaltare la propria idea politica.
In realtà, era chiarissimo sin dal primo giorno nel quale si è aperta la discussione sulle spese militari, che la strada per la “militarizzazione” era spianata. L’unica forza politica che avrebbe potuto ragionevolmente opporsi era il Pd, erede della tradizione cristiana democratica e di quella della sinistra storica. Ma il Pd, se ho capito bene, seppure con maniere meno rozze di quelle del Movimento 5 stelle, ormai ha deciso che la politica non deve restare imbrigliata nelle pastoie delle idee o delle strategie. Roba del Novecento. Oggi la politica è tattica e basta. E si realizza con l’aiuto di una sola bussola: l’imperativo categorico di restare al governo.
È chiaro che questo schema aiuta Draghi. E per fortuna a Palazzo Chigi c’è Draghi. Che comunque è un liberale, è una persona ragionevole, ha discrete doti di governo, è moderato. Ma se lo schema ormai è quello di Pd e 5 Stelle, il futuro non è roseo. Se l’obiettivo unico dei partiti più grandi è solo quello di restare al governo, è chiaro che il governo è destinato ad assumere un ruolo schiacciante sul funzionamento della politica. E il Parlamento, e i partiti, e le organizzazioni di base, e i sindacati, e i giornali, e l’opinione pubblica, tutti destinati a scomparire. Comunque a perdere ogni peso. Regge in queste condizioni una democrazia già corrosa e messa alla prova dal continuo debordare e dalla satrapia del potere giudiziario?
Ma questo è un ragionamento generale. Oggi il diario di giornata dice che abbiamo conquistato un punto, perché, con buona pace del “corrierismo dilagante”, l’idea del negoziato è tornata in campo. E abbiamo preso uno schiaffone perché la decisione di orientare le spese dello Stato verso lo sviluppo del militare ha sfondato ogni muro di resistenza.
P.S. L’aumento delle spese militari fino al 2 per cento del Pil, tradotto in cifre comprensibili, equivale a circa 40 miliardi in prospettiva. Più o meno 2000 euro all’anno per famiglia. Cioè il 4 per cento della spesa pubblica, ovvero il 7-8 per cento delle entrate fiscali.
