Del fumoso gioco di specchi organizzato da Giuseppe Conte confondendo ad arte il decreto Ucraina – via libera ad armare la resistenza ucraina e corridoi per i profughi – e l’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil come richiesto dal patto Nato, alla fine resta poco o nulla. Un piatto di lenticchie da giocarsi tra i sondaggi e manciate di consenso strappate tra i pacifisti e i “neneisti” del paese. Vediamo i punti controversi. Per fare un po’ di chiarezza.

Punto numero 1: Il Movimento 5 Stelle oggi voterà il decreto Ucraina, al netto di qualche mal di pancia e astensione o voti contrari come quello del senatore Vito Petrocelli e di qualche altro senatore grillino allergico alle armi ma non a Putin. Il governo ha deciso di mettere la fiducia che passerà a mani basse. Come è già successo alla Camera con il voto anche di Fratelli d’Italia.

Punto numero 2: l’ordine del giorno su cui si sono concentrate in questi giorni le energie di sottili strateghi parlamentari non sarà votato al Senato. Non sarà votato in Commissione perchè il governo, nella persona del sottosegretario Della Vedova con il via libera del ministro Di Maio, ha fatto proprio l’odg di Fratelli d’Italia che, sulla falsa riga di quanto già approvato alla Camera, genericamente impegna il governo a rispettare l’impegno assunto nel 2014 in ambito Nato, ovverosia di portare la spesa militare al 2% del Pil. L’odg non indica date. Il patto atlantico indica il raggiungimento dell’obiettivo entro il 2024. Non averlo votato in Commissione e la fiducia in aula fanno automaticamente decadere il testo al Senato. Resta però in piedi quello, identico, votato alla Camera. Il governo è cioè impegnato a rispettare quella scadenza. Senza rinvii.

Al punto 3 resta da capire cosa succede ora con il “famoso 2%” su cui martedì pomeriggio Conte è andato a bussare la porta di Draghi chiedendo in buona sostanza un rinvio di quell’impegno “perchè adesso dobbiamo sostenere una spesa sociale impegnative”. Perchè “il popolo ci chiede di pensare a famiglie ed imprese e il Movimento è portavoce di queste necessità più urgenti di armi e aerei”. La risposta del premier all’ex premier è stata netta e sonora: “Il governo intende rispettare e ribadire con decisione gli impegni Nato sull’aumento delle spese militari al 2%del Pil. Non possono essere messi in discussione gli impegni assunti in un momento così delicato alle porte d’Europa. Se ciò avvenisse – ha detto Draghi a Conte – verrebbe meno il patto che tiene la maggioranza”. Poi, per non lasciare dubbi e dare subito conseguenza alle parole, il premier è salito al Colle e ha informato il presidente Mattarella sull’accaduto. Se per Conte il gioco di specchi avviato domenica su guerra e spese militari doveva essere una mossa da campagna elettorale, la ricerca di un posizionamento e di un dividendo di consenso (alle spalle soprattutto del Pd), possiamo dire che il gioco è diventato più grande del previsto. Ed è forse scappato di mano.

Il Movimento 5 Stelle ieri ha manovrato, grazie alla Commissione Esteri e alla commissione Bilancio, entrambe a guida M5s, per impedire l’adozione del decreto in Commissione e l’invio in aula senza mandato al relatore. Ha quindi dimostrato una volta di più la sua centralità nelle dinamiche parlamentari. “Siamo il primo partito in Parlamento e Draghi ci deve tenere in considerazione” ha ripetuto Conte in questi giorni. Non è però chiaro cosa succede adesso sul 2%. Un esito – chi vince e chi perde – da cui dipendono molti assetti anche futuri in maggioranza e nel “campo largo del centrosinistra”. Oltre alla reputazione internazionale dell’Italia che è sempre una faccenda critica per l’affidabilità del paese Italia. Per sapere cosa succederà del 2% bisogna innanzitutto aspettare il Def, il Documento di economia e finanza che la prossima settimana fisserà i parametri macroeconomici dell’anno in corso e dei prossimi due. Alla luce del rallentamento nella crescita dovuto a inflazione, Covid e guerra. È solo questo il documento dove si dovrebbe capire l’andamento delle spesa militare nei prossimi tre anni.

Da qui ad allora bisognerà cogliere gli indizi. Ieri ce ne sono stati diversi. Conte è stato molto loquace, prima in una conferenza stampa e poi nella riunione con i senatori. La versione finale del suo agitarsi negli ultimi giorni è la seguente: il Movimento “voterà la fiducia al decreto Ucraina”; non farà però “passi indietro sul tema dell’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil entro il 2024”; insisterà con il Governo “perché si spalmi quella spesa su un periodo più lungo”, il 2% potrebbe essere raggiunto ad esempio nel 2030. Tutto questo, però, “escludendo tassativamente l’ipotesi di una crisi di governo”. In una nota su Facebook Conte ha fatto anche i conti sulle spese militari implementate dai suoi governi quando il budget passò da 21 a 25 miliardi in tre anni (2018-2021). In presenza di Covid, è bene ricordare. “Ma io ho anche distribuito oltre 130 miliardi di euro a famiglie ed imprese colpite dalla pandemia”. 130 miliardi debito pubblico. Con qualche buco nero su cui servirebbero spiegazioni. Il Pd guarda con molta preoccupazione le evoluzioni di Conte, i suoi continui smarcamenti e le fughe in avanti. Come questa sul 2% visto che il Nazareno è fin dall’inizio schierato senza se e senza ma sulla linea atlantista.

Forse anche per questo, per tentare una mediazione, ieri il ministro della Difesa Lorenzo Guerini si è messo a fare due conti. “Dal 2019 ad oggi abbiamo intrapreso una crescita graduale delle risorse sia sul bilancio ordinario che sugli investimenti, che ci consentirà, se anche le prossime leggi di bilancio lo confermeranno, di raggiungere la media di spesa dei Paesi dell’Unione Europea aderenti alla Nato e poi, entro il 2028, il raggiungimento dell’obiettivo del 2%”. In pratica, se manteniamo il trend di questi anni raggiungiamo il target nel 2028. Il ministro della Difesa ha fatto una previsione utile per fare chiarezza nei voti. È anche una mano tesa ai 5 Stelle? In fondo Conte propone il 2030… Fatto sta che Conte e i grillini hanno subito esultato: “Vedete, il Pd viene dalla nostra parte”. Sicuramente il Pd cerca di mediare, è nella sua natura “responsabile” e “istituzionale”. La pressione del ministro Orlando e del vicepresidente Provenzano pare sia stata importante in queste ore per non regale a Conte l’area pacifista. Ma dire che va verso la posizione dei 5 Stelle è stato un errore grossolano nella comunicazione del Movimento.

Nel dubbio ci ha pensato il senatore Luigi Zanda ieri sera in aula a spiegare qual è la posizione del Pd durante la discussione generale sul decreto Ucraina. “È vero che l’Italia ripudia la guerra ma allo stesso modo difenda la Patria. Un dovere sacro quanto il primo”. La guerra in Ucraina, la modalità dell’aggressione, il costante e lento soffocamento dei diritti in Russia, tutto questo fa dire che “mai come adesso, dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’Europa è a rischio e sotto minaccia. La pace in Europa è stata compromessa e non ci possiamo girare dall’altra”. Chiariti questi punti, “tutto diventa urgente, non più rinviabile, nelle scelte di politica estera e di difesa”. E guai se ancora una volta l’Italia “nello scontro tra spesa sociale e spesa militare che c’è sempre stato, dovesse scegliere il rinvio”. Una presa di distanza netta e necessaria delle incertezze e contraddizioni grilline.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.