Tanto rumore per nulla. Conte chiede. Draghi risponde per le rime e rimette in fila le priorità: “Rispetteremo tutti gli impegni Nato e l’aumento della spesa militare fino al 2% del Pil”. E tanti saluti ai distinguo artificiosi e pelosi del leader 5 Stelle. E se qualcuno dovesse insistere su questo punto, “verrebbero i presupposti che tengono in piedi la maggioranza” dice prima di salire al Colle per ribadire la posizione davanti a Mattarella.
Le 19 di ieri sera, davanti a palazzo Chigi. Giuseppe Conte arriva, circondati dalla scorta, dal muto di telecamere e anche dalla claque – a naso ingaggiata da Casalino – che da via del Corso tenta la ola “forza presidente”. Prima una introduzione sui vertici internazionali su cui “ho chiesto di essere aggiornato”. Poi arriviamo al motivo dell’incontro: l’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil (entro il 2024) così come stabilito dall’accordo Nato firmato nel 2014. “Il Movimento non vuole fare nulla contro questo governo e non ha alcune intenzione di non rispettare accordi internazionali” argomenta Giuseppe Conte neo bis-eletto presidente M5s. E quindi, che farà il Movimento sul decreto Ucraina? “Lo voterà, come previsto”. E sull’aumento della spesa militare fino al 2% del Pil entro il 2024 previsto dall’accordo Nato da lei stesso sottoscritto? “So che oggi i senatori 5 Stelle hanno chiesto di votare un ordine del giorno di Fratelli d’Italia che impegna il governo a rispettare l’impegno di spesa del 2%…”.
Dimentica, Presidente Conte, che il governo ha accolto quell’ordine del giorno, cioè è d’accordo, lo sottoscrive… “Guardi, non sono io che scrivo il Def”, il Documento di economia e finanza che fissa le cifre macroeconomiche del bilancio per l’anno in corso e che dovrebbe contenere un primo amento di spesa, uno 0,1 o uno 0,2 %. “Quello che ho detto al Presidente Draghi è che il Movimento 5 Stelle e il popolo italiano non possono sopportare in questo momento un aumento massivo delle spese militari quando abbiamo problemi urgenti di approvvigionamento di gas e di altre materia prime. E Draghi ci deve ascoltare”. “Aumento massivo”, segnate questa locuzione. Cosa s’intende per “aumento massivo”?. I governi Conte in tre anni hanno aumentato la spesa militare di 4 miliardi portandola da 21 a 25 miliardi. Lo 0, 6% di aumento entro il 2024 – cioè quello che chiede l’accordo Nato – significa meno di dieci miliardi in tre anni. Nel Def che arriverà in Parlamento nei primi giorni di aprile il governo potrebbe aumentare la spesa dello 0,1%, un miliardo o poco più. Difficile che questa cifra possa essere considerata un “aumento massivo”.
Dopo quattro giorni di sfide e provocazioni – domenica Conte in un’intervista era arrivato a minacciare la crisi di governo – il leader M5s ha ottenuto quello che voleva: l’incontro a palazzo Chigi col premier Draghi. Ma ne è uscito a mani vuote. Anche perché le richieste, annusata l’aria e il “rimbalzo”, si sono svuotate ora dopo ora in questi tre giorni. Nelle dichiarazioni alla stampa fuori palazzo Chigi, l’ex premier non spiega infatti quale è stata la risposta di Draghi. Che lo ha evidentemente ascoltato, come è giusto che sia visto che M5s è il partito di maggioranza relativa in questo Parlamento. Ma se Conte non ha fatto marcia indietro rispetto a “legittime richieste ed aspettative”, di certo Draghi non ha fatto marcia indietro rispetto ai suoi programmi. Che poi sono gli stessi votati a larga maggioranza dalla Camera la scorsa settimana quando ha approvato in prima lettura il decreto Ucraina. E saranno gli stessi che saranno votati entro giovedì al Senato. Palazzo Chigi non ha ancora deciso se mettere la fiducia. In questo caso gli ordini del giorno decadrebbero senza essere messi in discussione. Senza la fiducia, potrebbe andare in votazione l’odg di Fratelli d’Italia che impegna in modo molto generico – senza alcuna data di riferimento il governo a portare la spesa militare al 2% del Pil. Odg che ieri pomeriggio – prima del rendez vous Conte-Draghi a palazzo Chigi – il governo ha fatto proprio in commissione al Senato: Odg che M5s e Leu hanno chiesto di votare ma che Fratelli d’Italia, primo e unico firmatario, ha poi deciso di mettere in votazione. Lasciando così 5 Stelle e Leu a bocca asciutta.
E quindi? si chiede il povero cittadino nella disgraziata idea che abbia voluto seguire questa contorsione del buon senso e della responsabilità. Quindi nulla, abbiamo scherzato. Un’ammuina politica. 5 Stelle e Fratelli d’Italia hanno alzato le proprie bandierine politiche puntando a racimolare un po’ di consenso esterno e, nel caso di Conte, a rafforzare la propria leadership interna. Sicuramente Conte si è fatto ascoltare in questi giorni da pacifisti e “neneisti” – né con Putin né con la Nato – di cui sono piene le piazze italiane. Ne ha intercettato umori e consenso. Salvo poi scoprire che il governo Draghi non è un guerrafondaio, non concepisce le armi come business ma come necessaria difesa, lavora incessantemente sul doppio binario di armare la resistenza ucraina e aiutare un popolo aggredito e di trovare una via d’uscita ad un conflitto che va avanti da oltre un mese e sta devastando il cuore dell’Europa stressando delicati equilibri geopolitici e geoeconomici. Anzi, fuori da palazzo Chigi Conte spiega di essere d’accordo con Draghi: “È necessario dotare l’Europa di un proprio sistema di difesa anche perché questo ci consentirà di razionalizzare la spesa”. Che oggi in Europa, sommando le voci a bilancio dei 27 paesi Ue, supera i 230 miliardi, tre volte quello che spende la Russia. Poco meno di quello che spende la Cina. Il problema è che i risultati non si vedono e l’Europa, se deve difendersi, oggi può fare riferimento solo alla Nato.
In sostanza, la linea rossa di non arretramento di Conte si attesta sul “non investire ora 10 miliardi sulle spese militari. Sarebbe improvvido. Con Draghi siamo rimasti che continueremo a discutere, ci aggiorneremo su questo”. Il punto è che il premier non ha mai detto di voler investire adesso 10 miliardi in più sulla difesa. Ben altri sono i problemi del governo: inflazione, mancanza di materie prime, approvvigionamento, diversificazione delle fonti energetiche. E poi, anzi soprattutto, il cessate il fuoco. Ieri Draghi, tornato da Napoli dove ha affrontato il tema di come il sud sta gestendo le risorse del Pnrr, ha avuto su questi temi una lunga telefonata con il presidente Usa Joe Biden, il presidente francese Macron, il cancelliere tedesco Scholtz e il primo ministro inglese Boris Johnson. Lunedì Draghi aveva parlato con il presidente Zelensky. Il tutto con un occhio alle trattative di Istanbul inaugurate ieri mattina dall’auspicio del presidente Erdogan a trovare un’intesa che possa soddisfare tutti.
Si può alla fine dire che Conte condivide punto per punto l’agenda Draghi. E il Presidente del Consiglio ieri, dopo il colloquio con il leader 5 Stelle, ha tenuto a far sapere anche il suo punto di vista: “Il Governo intende rispettare e ribadire con decisione gli impegni Nato sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil. Non possono essere messi in discussione gli impegni assunti, in un momento così delicato alle porte dell’Europa. Se ciò avvenisse verrebbe meno il patto che tiene in piedi la maggioranza”. Palazzo Chigi, in nome della coerenza e della trasparenza, mette nero su bianco anche qualche cifra. Il bilancio della difesa nel 2018 era sostanzialmente uguale al 2008. Nel 2018 si registravano circa 21 mld, nel 2021 24,6 miliardi (un aumento del 17 per cento): questi sono i dati del Ministero della difesa nei governi Conte. Tra il 2021 e il 2022, governo Draghi, il bilancio della difesa sale invece a 26 miliardi: un aumento del 5,6 per cento. Con questi numeri Draghi è poi salito al Quirinale per condividere con Mattarella l’aut aut al leader 5 Stelle. Che era andato per suonare. Ma è uscito suonato.
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