Giuseppe Conte non vuole aprire una crisi di governo ma Mario Draghi ieri è salito al Quirinale. A riferire al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella del momento delicato che fa scricchiolare l’esecutivo in una fase drammatica della storia dell’Europa, durante la guerra in Ucraina scatenata dal presidente russo Vladimir Putin. Sarebbe infatti andato molto male l’incontro di circa novanta minuti tra l’ex presidente del consiglio e l’attuale premier. Il duello rientra nel contesto più ampio del cosiddetto “decreto Ucraina” che al suo interno contiene diversi provvedimenti di segno militare e a sostegno dei profughi arrivi in Italia (circa 72mila, stando ai dati di ieri).

Il punto di rottura è l’intenzione del governo di aumentare, come d’accordo con i partner della Nato, le spese militari per raggiungere l’obiettivo del 2% del Pil. “Se si mettono in discussione gli impegni assunti viene meno il patto che tiene in piedi la maggioranza”, la riflessione di Draghi. Il decreto Ucraina, passato alla Camera, arriva oggi in Senato e l’enigma è: cosa farà il Movimento 5 Stelle se e quando il governo porrà la fiducia. Conte ha assicurato che il M5s voterà, “non vogliamo aprire una crisi perché noi siamo il partito di maggioranza relativa” ma restano perplessità nel Partito Democratico sulla linea del M5s – lunedì i dem avevano diffuso un documento nel quale si sosteneva l’importanza della gradualità nell’aumento delle spese militari.

Conte è stato appena rieletto alla guida del Movimento. Sta insistendo sull’emergenza economica, il caro-bollette, il rischio inflazione. Per Draghi l’aumento fino al 2% del Pil delle spese militari, stabilito nel 2014 in ambito Nato con deadline a dieci anni, non è negoziabile mentre Conte insiste per allungare i tempi fino al 2028 o al 2030. Il premier non avrebbe comunque intenzione di dimettersi in questo momento così delicato. Per Conte, intervenuto a DiMartedì, sarebbe salito al Colle nel pieno diritto di “informare il presidente della Repubblica”.

Il momento più teso nel faccia a faccia sarebbe arrivato quando Conte ha fatto notare che “per arrivare al 2%” dell’impegno economico per gli armamenti “mancano 15 miliardi”. E a quel punto Draghi avrebbe messo sul tavolo gli stanziamenti del passato e snocciolato i numeri del bilancio della Difesa quando a Palazzo Chigi c’era proprio “l’avvocato del popolo”. “Nel 2018 si registravano circa 21 miliardi, mentre nel 2021 se ne registravano 24,6 …”. I due governi guidati da Conte avrebbero aumentato le spese militari del 17%, molto di più rispetto agli esecutivi precedenti e a quelli successivi, ricostruisce Il Corriere della Sera.

A portare allo strappo era stato l’ordine del giorno sulle spese militari proposto da Fratelli d’Italia: il documento al Dl Ucraina presentato (e accolto: ora fa parte del testo) dal partito di Giorgia Meloni alle commissioni Esteri e Difesa di Palazzo Madama non è stato proposto ai voti. Fdi in questo modo ha tolto al Movimento la possibilità di bocciare l’aumento delle spese militari per poi votare in Aula la fiducia al decreto Ucraina.

“Il nostro ordine del giorno è stato accolto dal governo senza riformulazione quindi non abbiamo insistito sul voto, il nostro obiettivo era raggiunto a conferma del fatto che non era un dispetto per mettere in difficoltà la maggioranza. La richiesta di voto è venuta però da parte di esponenti della maggioranza: Cinque stelle e Leu”, il commento della senatrice di Fdi Isabella Rauti. “Il due per cento del Pil per la difesa è un obiettivo sottoscritto dalla Nato che è stato ribadito nel 2014 nel vertice Galles ma nella cifra ci sono la riqualificazione delle caserme, equipaggiamenti, risorse per le forze armate. Non tutti i paesi europei l’hanno raggiunto ma nel 2020 l’Italia 102 esima per spese sulla difesa”.

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Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.