Una crisi senza precedenti. Sull’aumento delle spese militari al 2 per cento del Pil, come chiesto dalla Nato e promesso dall’Italia nel 2014 all’Alleanza Atlantica, va in scena una scontro durissimo tra Mario Draghi e il suo predecessore, il riconfermato leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte. 

Draghi che, al termine di una giornata tesissima, è salito al Colle per aggiornare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sugli sviluppi politici legati al dossier. 

Nel pomeriggio Draghi e Conte si erano incontrati per discutere proprio dell’argomento, ma le distanze erano emerse chiaramente. “Non metto in discussione gli accordi con la Nato, ma l’aumento delle spese militari ora è improvvido”, erano state le parole di Conte ai cronisti dopo il vertice a Palazzo Chigi, sottolineando come sul tema del riarmo “abbiamo valutazioni diverse”. “Siamo rimasti – aveva aggiunto Conte – che ne discuteremo ancora. Non è nel Def che ci sarà questa prospettiva ma è una questione che dobbiamo comunque affrontare“.

Il governo intende rispettare e ribadire con decisione gli impegni Nato sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil. Altrimenti verrebbero meno gli impegni presi dalla maggioranza“, avrebbe detto invece Draghi durante l’incontro col leader del Movimento 5 Stelle.

Draghi che ha ricordato a Conte come proprio i due governi guidati dall’avvocato di Volturara Appula abbiano aumentato i fondi destinati al bilancio della Difesa. Nel 2018 i numeri erano fermi a quelli del 2008, con finanziamenti per 21 miliardi: con Conte a Palazzo Chigi i finanziamenti sono saliti nel 2021 a 24,6 miliardi (un aumento del 17%), mentre tra il 2021 e il 2022 il bilancio della Difesa è salito invece a 26 miliardi, un aumento del 5,6%.

Una tensione salite alla stelle anche per la decisione del governo in commissione Esteri del Senato di accogliere l’ordine del giorno di Fratelli d’Italia che lo impegna a raggiungere la soglia del 2 per cento sulle spese militari senza richiesta di voto.

Una decisione “inaccettabile” perché “un ordine del giorno che inizia con ‘Il Senato impegna il governo’ non può essere accolto senza un voto di verifica”, è il duro commento arrivato dai 5 Stelle con la vicepresidente del M5S Paola Taverna e i senatori Vito Crimi, Gianluca Ferrara, Ettore Licheri, Andrea Cioffi e Gianluca Castaldi.

Quanto al decreto Ucraina, arriverà in Aula al Senato domani alle 18 anche se non concluso in commissione, con l’esame che proseguirà giovedì con il voto finale con o senza fiducia.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia