Cari amici, il pacifismo è una cosa seria. Ci sono persone che hanno dedicato la vita a questa idea. Grandi intellettuali, politici, preti e vescovi, donne e uomini di ogni strato sociale e delle più diverse culture. Ci sono molti sacerdoti buddisti che si sono bruciati vivi per difendere questa idea. Noi in Italia abbiamo avuto personaggi del livello di Aldo Capitini, di Primo Mazzolari, di Danilo Dolci, di Alexander Langer. Un gigante della politica italiana degli anni Quaranta, che si chiamava Giuseppe Dossetti, ed era il numero due della Democrazia cristiana, aveva scritto nel suo destino che sarebbe diventato ministro, forse premier, forse presidente della Repubblica, invece abbandonò la politica nel 1949 e si fece prete in polemica con le scelte militariste di De Gasperi.

Il pacifismo, cari amici, è una idea. Forse persino una ideologia, dipende da cosa si intende per ideologia. Un modo di pensare, un modo di vivere, una bussola che orienta ogni scelta politica di chi lo abbraccia. Il pacifismo non è un giro di danza e mai e poi mai può essere una scelta tattica. Sapete perché? Perché il pacifismo nasce esattamente da questa idea: la messa in mora della tattica. Il rifiuto della neutralità dei mezzi. Negli anni Quaranta, quando Dossetti lasciava la Dc e si ritirava in convento, in Italia e nel mondo nasceva un movimento pacifista guidato da personaggi di gigantesche dimensioni politiche e intellettuali. Si chiamavano i “partigiani della pace”. Oggi molti dicono che fosse un movimento eterodiretto da Mosca. Un covo di comunisti. In parte è anche vero che i sovietici vedevano di buon occhio questo movimento, forse lo aiutavano, perché, in quegli anni, temevano la superiorità militare degli Stati Uniti e temevano anche la possibilità che ripartisse la guerra, specie dopo la morte di Roosevelt e l’uscita di scena di Churchill. Ma per capire che questo movimento non era una marionetta teleguidata, basta dare un’occhiata ai partecipanti alla prima riunione: c’erano Pablo Picasso, Bertold Brecht e Albert Einstein.

Per i francesi c’era Joliot-Curie, per i tedeschi Willy Brandt, per gli italiani Sibilla Aleramo ed Emilio Sereni. Ora, certo, Mosca si sarà fatta sentire, ma pensare che il più grande scienziato del mondo, per dire solo un nome, cioè Einstein, l’inventore dell’energia atomica e della teoria della relatività, possa essere considerato un pupazzetto di Stalin, mi pare che richieda un volo eccessivo di fantasia. Voi magari direte: erano altri tempi, erano anni di gesta e gente eroica. Vero. Allora però vi racconto un episodio che riguarda il pacifismo in anni più recenti. Eravamo nel giugno del 1992. Tom Benetollo – che magari voi non conoscete perché non ha mai scalato la politica né i giornali, ma è stato uno dei più importanti dirigenti dle movimento pacifista italiano – stava rintanato in una cantina di Sarajevo per proteggersi dalle raffiche che arrivano dalle colline dove le milizie di Karadzic e Mladic (i serbo-bosniaci) assediavano la città. Gli squillò uno dei primi cellulari, che aveva con se. E un amico, da Roma, gli riferì dell’editoriale che era uscito quel giorno sull’Unità, firmato dal suo direttore, intitolato così: “Perché i pacifisti non vanno a Sarajevo?”.

Lui restò di sasso, anche perché non era da solo in città, era lì con un centinaio di pacifisti che erano venuti a portare aiuti alla popolazione assediata. Altri due o trecento pacifisti erano sparsi per la Bosnia. Il giorno dopo la pubblicazione di quell’articolo ne uscì un altro su Repubblica, di una delle principali firme del giornale, autorevolissima e molto di sinistra. Dava ragione all’Unità e chiedeva perché dopo il bombardamento del mercato di Sarajevo i pacifisti non si facessero sentire. E poi spiegava anche il perché: il perché stava nell’insopportabile antiamericanismo dei pacifisti e quindi nel disinteresse per tutto ciò che non fosse lotta all’America. Giusto due mesi prima una manifestazione di pacifisti in Bosnia era stata attaccata con le mitragliatrici dai serbi: quattordici morti e cento feriti. Benetollo però non potè protestare, se non privatamente, per quegli strafalcioni della stampa di sinistra italiana. Non aveva giornali, non aveva Tv, Internet appena appena aveva iniziato ad esistere. Qui da noi restò la convinzione che i pacifisti fossero dei fifoni interessati solo a gridare contro Reagan e Bush.

È pensando a tutto questo, e anche pensando alle parole di fuoco pronunciate dal Papa, il quale testimonia la profondità del pensiero pacifista cristiano, che mi indigno un po’ quando vedo che il pacifismo finisce per diventare un espediente tattico, che non ha niente a che fare con un sistema di idee, di convinzioni, di pensieri, forse persino di ancoraggio etico, ma è solo un mezzo da usare contro gli avversari politici. Lasciatemelo dire, il modo nel quale i 5 Stelle si stanno comportando, sfiora la follia. Cosa fanno questi 5 Stelle? Vanno al governo e aumentano le spese militari. Vanno alla Camera, una settimana fa, e votano l’aumento delle spese militari fino al tetto del 2 per cento del Pil. Poi si accorgono che per una serie di ragioni strettamente tattiche, per avere più peso nella maggioranza e per indebolire Draghi, conviene opporsi all’aumento delle spese militari, e allora lanciano Conte in una crociata pacifista condotta tra farfugliamenti vari, farfugliamenti dovuti alla totale non conoscenza della materia.

Del resto il quotidiano dei 5 Stelle – dico Il Fatto – sta conducendo una campagna analoga, anche più convinta, un po’ improvvisata per chiunque conosca le posizioni politiche precedenti, per dirne uno, del suo direttore ma anche di molti altri commentatori. Qualcuno dei più vecchi tra noi ricorda un solo dirigente del Fatto – a parte il vicedirettore Salvatore Cannavò, unico ad avere un robusto passato pacifista e no global – partecipare negli anni scorsi a una manifestazione pacifista? O scagliarsi contro l’invasione americana della Serbia, dell’Iraq, dell’Afghanistan?

Naturalmente io sono contento che il fronte si allarghi, e che molti giornalisti dalla tradizione interventista e atlantista abbiano scoperto il valore del pacifismo. Accogliamoli a braccia aperte. Purché non considerino il pacifismo semplicemente come una clava per colpire Draghi. E oggi, invece, mi pare che la maggioranza di loro in questo modo intende il pacifismo. Voi pensate che io sia troppo intransigente se mi inquieto quando vedo tanti pacifisti improvvisati? Io penso di no. Penso che nella lotta politica dura, aspra, costosa, come è quella tra pacifisti e non pacifisti – che io creda debba avvenire nel pieno rispetto delle idee altrui – o si resta nell’ambito delle idee, senza cercare vantaggi e tattichette, o è un disastro per la politica. Conte? Volete che vi dica cosa penso dell’azione e del pensiero di Giuseppe Conte? Quello che ho sempre pensato: penso che Conte non esista. Non parliamo del suo pensiero…

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.