Un passo per proteggere l’interesse nazionale
Finanziamento ai partiti, anche la guerra dimostra che serve: i fondi alla politica per proteggere l’interesse nazionale
L’Italia del dicembre 2013, ancora immersa nella crisi economica, che era derivata a livello mondiale dal crollo della Lehman Brothers seguito alla radicale svalutazione dei crediti subprime e allo scoppio della bolla immobiliare in America, aveva un’urgenza: abolire il finanziamento pubblico dei partiti. Nonostante fosse stato già approvato alla Camera e fosse stato inviato al Senato un disegno di legge avente lo stesso oggetto, il Governo Letta approvò, nel dicembre 2013, un decreto-legge (n. 149/2013), affinché l’abolizione del finanziamento pubblico entrasse subito in vigore. Enrico Letta ne diede immediatamente e con vanto notizia sul suo blog.
Nei nove anni trascorsi il tema ha perso di attualità, restando sullo sfondo del dibattito politico per essere rievocato saltuariamente, in positivo o in negativo, nelle analisi del passato. Nessuno, in realtà, ne ha richiesto con forza il ripristino per paura di essere sommerso da quell’ondata di populismo, che ne aveva chiesto l’abolizione e di cui Enrico Letta si era proposto come orgoglioso interprete. Alcuni aspetti della guerra in Ucraina impongono, tuttavia, di riconsiderare l’argomento. In questi anni sono emerse molte vicende, che, considerate complessivamente, già prima dello scoppio della guerra avrebbero dovuto richiamare l’attenzione del dibattito politico e che, dopo lo scoppio della guerra, indicano l’esistenza di un problema che va affrontato con urgenza. Vale la pena richiamare, sia pure sommariamente, le più importanti di tali vicende. Nel luglio 2019 il sito BuzzFeed ha divulgato la registrazione di un incontro svoltosi presso l’Hotel Metropol di Mosca, cui avrebbero partecipato alcuni esponenti del regime russo e tre italiani. Oggetto dell’incontro sarebbe stata la fornitura all’Italia di petrolio per un importo di un miliardo e mezzo di dollari con una provvigione del 4% per la Lega di Salvini, che in quei giorni era anche lui a Mosca, e perciò di 65 milioni.
L’operazione non sembra sia stata poi effettuata e le indagini non hanno accertato responsabilità di Salvini o della Lega. Nell’autunno del 2021, il quotidiano spagnolo ABC dava notizia delle rivelazioni fatte da Hugo Armando Carvajal, alias “El Pollo”, già a capo dei servizi di sicurezza venezuelani durante il regime di Chavez e nei primi anni del regime di Maduro. Arrestato su ordine di cattura internazionale, emesso dall’Autorità giudiziaria degli Stati Uniti, stava cercando di evitare l’estradizione facendo rivelazioni, agli inquirenti spagnoli, su pretesi finanziamenti che quel regime avrebbe erogato al Movimento 5Stelle in Italia ed a Podemos in Spagna. Concessa l’estradizione, ulteriori approfondimenti non sono stati possibili e l’inchiesta italiana non ha accertato alcunché a carico del Movimento 5Stelle. Sono solo restate le perplessità legate all’appoggio che, in varie occasioni, il Movimento 5Stelle aveva espresso in favore del regime di Maduro. Così come, per Salvini, è stata accolta con molta sorpresa la netta presa di posizione pacifista rispetto alla guerra in Ucraina. Presa di posizione, peraltro, che ha fatto seguito alle critiche, più volte espresse, in ordine alle sanzioni applicate alla Russia dopo l’invasione della Crimea.
Sul piano internazionale, è cosa nota il finanziamento che una banca russa avrebbe concesso al movimento di Marine Le Pen. Altrettanto noto è lo scandalo, cd. Ibizagate, che ha riguardato il vicecancelliere austriaco Strache. Nel 2019 il quotidiano Der Spiegel ha pubblicato il video di un incontro, svoltosi nel 2017, tra Strache ed una giornalista di inchiesta, presentatasi come nipote di un oligarca russo, che prometteva, ricevendone l’accettazione, finanziamenti al partito in cambio di favori negli appalti e di un atteggiamento favorevole in politica estera alla Russia. Vi sarebbero, poi, evidenze di iniziative assunte da entità russe per condizionare il risultato delle elezioni presidenziali americane, che hanno visto contrapporsi Hillary Clinton e Trump. Così come, specie in questi ultimi tempi, sono sorti dubbi sul condizionamento che vi sarebbe stato, a favore di un esito positivo del referendum, svoltosi in Inghilterra nel 2016, avente ad oggetto l’uscita del Regno dall’Unione Europea (cd. Brexit).
Lo scenario complessivo, dunque, è quello di un possibile attacco, da parte di alcuni regimi, al fragile equilibrio su cui si regge il sistema democratico nei paesi occidentali. La marea montante del populismo, in particolare, avrebbe offerto l’occasione ad alcuni regimi di intervenire nelle competizioni elettorali, puntando sull’effetto disgregatore che tali movimenti avrebbero potuto avere sulla tenuta e sulla compattezza dei sistemi democratici. Oggi una questione del genere, già di per sé estremamente delicata, acquista una portata tale da renderla ineludibile nel momento, in cui finisce con l’incrociarsi con un evento estremo quale è la guerra. In discussione, in questo senso, non sono né il merito della scelta pacifista di Salvini e né del rifiuto di Conte di appoggiare la decisione del Governo di incrementare le spese militari. Così come, ed è bene sottolinearlo, non vi è nulla che possa far ritenere fondatamente che quelle scelte siano il frutto avariato di condizionamenti dovuti a rapporti ambigui con altri paesi.
Tuttavia, il fatto stesso che qualcuno possa porre questo problema è idoneo ad avvelenare irreparabilmente la dialettica democratica. La situazione rischia di essere peggiore di quanto si è verificato negli anni che hanno fatto seguito alla Seconda guerra mondiale, nei quali Washington finanziava la Democrazia Cristiana e Mosca il Partito Comunista Italiano. In quel momento, difatti, le appartenenze erano comunque chiare. Oggi, in un mondo policentrico, lo spazio per le ambiguità e le opacità è molto maggiore ed i rischi per l’interesse nazionale finiscono con l’essere anch’essi maggiori. È indubbio che la mancanza di un finanziamento pubblico dei partiti spalanca le porte alla possibilità di un condizionamento del genere.
I partiti sono macchine organizzative che, per esistere ed operare, hanno un bisogno ineliminabile di risorse. Che potrebbero anche essere accettate, in buona fede, da regimi stranieri sull’onda di una coincidente momentanea visione comune dell’ordine internazionale. Ma il rischio di una compromissione dell’interesse nazionale è troppo alto per essere una pratica accettabile. Tuttavia, non si può ignorare che privare i partiti di risorse adeguate significa esporli alla concreta possibilità di metterli nelle condizioni di dover accettare tali finanziamenti.
La reintroduzione di un adeguato sistema pubblico di finanziamento dei partiti finisce con l’essere, di conseguenza, un passo ineludibile per proteggere l’interesse nazionale. Si tratta di superare l’idea ipocrita che l’attività politica sia solo passione. L’attività politica, per essere efficace e cioè raccogliere consenso, deve essere organizzata. Ed ogni organizzazione, anche la più filantropica, ha bisogno di risorse economiche per esistere. L’illusione populista di sottrarre i partiti a questa regola generale significa renderli soggetti deboli e, come tali, più permeabili. La guerra in corso mostra che la questione non può essere affrontata in modo ipocrita e che la sua soluzione è urgente.
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