La diplomazia ha tempi lunghi e non coincidono mai, purtroppo, con quelle delle bombe. E però arriva dove deve arrivare, nelle sue forme, nei suoi modi. Contro “l’aggressore” Putin e la “drammatica” guerra in Ucraina, l’Europa dei 27 ieri ha deciso il quarto pacchetto di sanzioni economiche e finanziarie in quindici giorni. E’ il primo risultato ottenuto nel vertice informale di Bruxelles. Concordato con i paesi del G7 e con Washington. Mentre dalla reggia di Versailles ieri pomeriggio Ursula von der Leyen annunciava che “continua ad aumentare la pressione economica sul Cremlino” e che oggi “sarà introdotto un quarto pacchetto di misure per isolare ulteriormente la Russia e prosciugare le risorse che utilizza per finanziare questa guerra barbara”, lo stesso annuncio veniva dato dal presidente Usa Joe Biden in un punto stampa alla Casa Bianca.

Sarà proibito l’export dei beni di lusso a cominciare dai diamanti; revocati “importanti benefici dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc)”; sospesi “i diritti di appartenenza a istituzioni finanziarie multilaterali come il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca mondiale, quindi niente più prestiti o benefici da queste istituzioni”. Salirà ancora la pressione sulle “elite russe vicine a Putin” e “ci assicureremo che lo Stato russo non possa utilizzare criptovalute, per aggirare le sanzioni”. Sarà proibito l’import di “beni chiave nel settore siderurgico dalla Federazione Russa” e anche “nuovi investimenti europei nel settore energetico russo, dall’esplorazione alla produzione”. Certo manca ancora lo stop all’import di gas (circa un miliardo di euro al giorno nella casse di Gazprom e quindi del governo) e la messa al bando dal circuito Swift di due banche molto popolari. Ma è il dosaggio massimo consentito rispetto ai tre obiettivi: isolamento del Cremlino, non affamare la popolazione russa e tantomeno quella europea che già sta pagando un prezzo molto alto per questa guerra sul confine europeo.

Nuovo debito comune? Si può
Proprio per non punire più di quello che già sono i paesi Ue, la presidente von der Leyen ha aperto all’ipotesi di lavoro di fare un nuovo debito comune “per gestire le nuove priorità dettate dall’emergenza della guerra in Ucraina”: crisi energetica, di materie prime e difesa comune. “Se serve fare un nuovo debito comune europeo per rispondere a queste emergenze, lo faremo” ha detto von der Leyen nella conferenza stampa final. E’ il Recovery di guerra cui hanno lavorato in queste due settimane il presidente Macron e il presidente Draghi. Ancora venerdì, prima dell’avvio del vertice infornale nella Reggia di Versailles, i due hanno avuto un lungo bilaterale per definire la loro proposta. Che non si può dire che sia stata già accettata. Sarà però all’ordine del giorno del prossimo vertice, questa volta ufficiale, il 24 e il 25 marzo e poi a maggio. Con le sanzioni, è questa la notizia migliore che potesse arrivare da Versailles.

Come ha più volte ripetuto Draghi in questi giorni, e anche ieri nel punto stampa finale, “i bilanci nazionali non possono riuscire a sostenere i costi per rispettare gli obiettivi fissati dall’emergenza bellica che riguardano la difesa comune, l’autonomia di materie prime ed energetica entro il 2027”. Quindi, “va trovato un compromesso su dove trovare queste risorse”. Per questo, soprattutto, il premier italiano ha definito il Consiglio informale di Versailles “un successo”: perché “ha predisposto una base molto buona per la discussione che avverrà al prossimo Consiglio formale a Bruxelles (24-25 marzo, ndr)”.

L’annuncio di Von der Leyen
Come è giusto che sia, è stata Ursula von der Leyen a spiegare i dettagli del progetto di finanziare con nuove emissioni di debito comune dell’Ue gli investimenti necessari per la difesa, l’indipendenza energetica e la nuova politica di autonomia strategica dell’economia europea. “Si può fare” ha detto, se occorre e se si attivano insieme anche gli investimenti pubblici nazionali e quelli privati per le priorità decise dall’Unione. Il metodo è lo stesso che ha portato al Recovery plan e al Next generation Eu per fronteggiare gli effetti della pandemia (che, per inciso, non è finita): prima definire le priorità e poi quali investimenti. “Fin dall’inizio del nostro mandato – ha ricordato la Presidente della Commissione – abbiamo definito tre priorità: il Green Deal europeo, la digitalizzazione e la resilienza”. La pandemia e adesso questi tempi di guerra che la Russia ha scatenato, hanno confermato essere “le giuste priorità”. Il Green Deal europeo “è assolutamente necessario se vogliamo essere indipendenti dai carburanti fossili che ci vengono forniti principalmente dalla Russia”.

La digitalizzazione è “di grande importanza per modernizzare l’economia e proprio in questi giorni lo possiamo sperimentare per le sanzioni contro la macchina da guerra russa”. Poi c’è la resilienza, ovvero la capacità di resistenza: “La difesa comune è un sottotitolo chiave della resilienza”. Tutto questo può essere fatto “tramite il bilancio europeo, come è successo con il Next Generation EU”. Ma poi serve “il livello nazionale e quello privato”. L’esempio migliore di inserzione di questi tre livelli è il Chips act, la legge europea sui semiconduttori che sono stati uno degli asset che l’Europa ha più sofferto durante la pandemia e quando i mercati asiatici hanno interrotto le esportazioni dei materiali. Draghi, nel punto stampa finale, è stato ancora più chiaro: “Noi abbiamo speso 16 miliardi già ora per per mitigare l’effetto dei rincari. Da ora in poi è necessaria una risposta europea”. E così si capiscono anche meglio le resistenze a fare scostamenti di bilancio, cioè nuovo debito, prima del Def di aprile quando le stime saranno più chiare per tutti. Anche a Bruxelles.

Quattro pilastri per l’energia
Dopo le sanzioni, (“l’arma più potente per evitare le terza guerra mondiale” ha fatto eco Biden da Washington) e l’adesione dell’Ucraina alla Ue (“La Ue sostiene il percorso dell’Ucraina verso la Ue ma è impossibile accettare l’adesione in così poco tempo. Io avrei fatto anche di più – ha detto Draghi – ma le sensibilità restano diverse”), il tema che più ha assorbito nelle cena di lavoro durata più di quattro ore è stato quello dell’energia. La risposta alla crisi energetica è in “quattro pilastri”. La diversificazione, “che deve essere in due sensi”: rispetto ai fornitori ed entro il 2027 l’Europa si sarà affrancata dalla dipendenza russa; rispetto alle fonti e cioè avanti con le rinnovabili e stop al carbone. E’ questo un punto irrinunciabile, per tutti. Su cui l’Italia deve correre. “Il processo autorizzativo – ha detto Draghi – è ancora molto lento a livello nazionale ed europeo. E’ un ottimo segnale che giovedì il Consiglio dei ministri abbia dato il via libera definitivo per sei parchi eolici”. La Commissione ha promesso che aiuterà gli Stati membri in ogni modo possibile.

Il secondo pilastro è quello di introdurre un tetto ai prezzi del gas. Argomento per cui, da quando se ne parla un po’, “il prezzo dei gas è caduto fortemente da oltre 200 euro a circa 116 euro oggi. Ma forse è solo una coincidenza”. Il terzo pilastro è come staccare il mercato dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili dal mercato del gas. “Oggi c’è un solo prezzo, quindi anche l’energia elettrica prodotta a bassissimo costo arriva al consumatore a un prezzo uguale a quella prodotta con il gas. Questa è la causa principale della lievitazione delle bollette”. Il quarto punto è la tassazione degli extra profitti delle società elettriche, tema di cui a palazzo Chigi si parla da qualche settimane. “La Commissione stima che attraverso una tassazione dei sovra profitti delle società elettriche possa arrivare un gettito di circa 200 miliardi. Quindi è certamente una fonte a cui guardare con molta attenzione”.

Rivedere le regole europee
È importante, forse fondamentale, che adesso questo sia un tema della Commissione europea. Più in generale – perchè il tema dell’approvvigionamento riguarda anche altri materie prime e il settore dell’agroalimentare – questa crisi porta a riconsiderare “tutto l’apparato regolatorio europeo che ci ha accompagnato in questi anni”.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.