La natura della risposta, che l’Occidente sta dando alla aggressione russa in Ucraina, ha un rilievo tale da essere destinata ad influenzare lo stesso futuro delle nazioni che ne fanno parte. Essa, in sintesi, si sostanzia nella espulsione della Russia dal mercato occidentale. È, così, accaduto che è stato negato allo Stato russo e ad alcune persone fisiche il riconoscimento di un diritto, che costituisce una pietra angolare di qualsiasi sistema di mercato: il diritto di proprietà. In questo senso vanno letti il blocco delle disponibilità all’estero della banca centrale russa e dei beni di alcuni enti e di alcune persone fisiche, politicamente rilevanti nel regime russo. La banca centrale e alcune delle più rilevanti banche del paese sono state escluse dal sistema Swift dei pagamenti e, perciò, escluse dai rapporti di scambio internazionali. Molte multinazionali stanno lasciando la Russia per l’impossibilità, a seguito di questi provvedimenti, di operare in quel paese.

Tutto questo pone, in una prospettiva non immediata, un duplice ordine di problemi. Uno interno al mondo occidentale e l’altro di carattere globale. Per quello che concerne il primo aspetto, occorre chiedersi se il ricorso soprattutto agli strumenti economici per fare pressione sull’invasore russo non segni, nell’occidente, il ritorno del prevalere della politica sull’economia. In fondo, protagonista del contrasto alla Russia è soprattutto il mondo della finanza e dell’impresa. La mobilitazione contro la Russia ha riguardato, nel mondo occidentale, gli attori principali dell’economia. Non si tratta, certo, di una novità assoluta. Nel passato sanzioni economiche hanno colpito paesi come Cuba, l’Iran, la Siria. In quei casi, tuttavia, il danno per i protagonisti economici dell’occidente era del tutto marginale e, perciò, sostanzialmente irrilevante.
Anche le sanzioni alla Russia, comminate negli ultimi tempi, avevano comunque una rilevanza limitata, tale da non essere nemmeno lontanamente paragonabili, per ampiezza ed efficacia, a quelle adottate in questi giorni. Ciononostante, gli attori economici del mondo occidentale hanno accettato di essere i protagonisti del nuovo livello di scontro con la Russia senza alcuna significativa obiezione.

La circostanza è tanto più rilevante, ove si consideri che l’espulsione della Russia dal mercato occidentale ha conseguenze pesantissime su di essi. È, allora, difficile non scorgere, in quanto sta accadendo, il fatto che la politica, in un momento supremo, è tornata ad essere prevalente sull’economia. Quest’ultima è divenuta strumento della politica, invertendo così un rapporto che troppo spesso aveva visto la politica essere strumento dell’economia. È un’inversione di tendenza di carattere duraturo? Difficile dirlo. Anche perché, sotto un certo aspetto, la vicenda attribuisce un rilievo ancora maggiore all’economia. La risposta sarà probabilmente condizionata dalla evoluzione e dalla soluzione del secondo dei problemi, posti dalla centralità delle sanzioni economiche, cui si è accennato in precedenza: quello che riguarda il mercato globale.
Sotto quest’ultimo profilo, va registrato un fenomeno del tutto nuovo. Sino a qualche decennio fa, l’espulsione di un paese dal mercato occidentale avrebbe significato, molto semplicemente, l’espulsione di qual paese dal mercato globale. Vi era una sostanziale coincidenza tra mercato occidentale e mercato globale. Il Wto era un organismo, le cui fondamenta erano saldamente ancorate al mercato dei paesi occidentali, e svolgeva una sostanziale attività di omologazione di nuovi spazi economici alle regole ed ai criteri, intorno ai quali era organizzato il mercato occidentale. Svolgeva, sostanzialmente, una vera e propria attività di assimilazione. Oggi non è più così.

La presenza di protagonisti come la Cina, destinata tra poco a divenire la prima economia del mondo, e l’India ha dato al mercato globale, che fa capo al Wto, un assetto completamente diverso. Il mercato globale non è più coincidente con il mercato occidentale. Quest’ultimo, anzi, a seguito della crisi economica derivata dalla pandemia, si è mostrato largamente vulnerabile, siccome dipendente, sotto molti aspetti, dalla Cina e dalla Russia. Tutto questo porta, allora, a dire che le prese di posizione che, in sede internazionale, sono state di solidarietà alla Russia o, quantomeno, di non condanna, e si pensi appunto alla Cina e all’India, finiscono con l’avere un rilievo diretto sull’organizzazione del mercato globale. Che appare, ormai, attraversato da faglie pienamente coincidenti con le profonde divisioni politiche, che attraversano la Terra. L’esclusione di un soggetto dal mercato occidentale non significa più necessariamente l’esclusione da qualsiasi mercato. Anche nella dimensione globale, dunque, si assiste ad un nuovo prevalere della politica sull’economia. La forza di quest’ultima e, soprattutto, la forza persuasiva del mercato, che conquista consenso con la distribuzione di beni e di servizi, nulla hanno potuto contro i diktat della politica, che, in un attimo, hanno fatto riemergere, dalle profondità carsiche in cui sembrava scomparso, il fiume della storia, con il suo carico di differenze anche profonde, che sarebbe troppo facile liquidare come ingiustificate.

Il ritorno della storia ha mostrato l’inadeguatezza dell’economia come strumento di regolazione del mondo. L’economia occidentale, che vi aveva fatto affidamento, è diventata fragile, essendosi largamente sviluppata senza alcuna attenzione ad un adeguato grado di autosufficienza. Essa è a lungo andata avanti sul presupposto che la cd. “mano invisibile” avrebbe posto immediato rimedio a qualsiasi guasto e che, di conseguenza, il criterio della convenienza sarebbe stato l’unico a guidare gli scambi e gli approvvigionamenti. In realtà, già lo stesso Adam Smith non aveva una visione così utopistica del mercato, del quale auspicava un vero e proprio governo globale, intuendo, già allora, che in esso la Cina avrebbe svolto un ruolo fondamentale. Gli avvenimenti di oggi dicono che se la Russia chiude i rubinetti dell’energia e se la Cina non fornisce alcuni prodotti è tutta l’economia occidentale ad avvitarsi in una crisi gravissima. Ciò è tanto più vero per una economia, come quella italiana, sviluppatasi in assenza di un quadro di politica economica attenta agli interessi nazionali.

La crisi dell’Ucraina, dunque, e l’utilizzo delle forze di mercato come strumento di lotta tra paesi stanno ad indicare che non è il mercato che può regolare le relazioni tra popoli. È un compito di pertinenza esclusiva della politica. Averlo dimenticato è stato il frutto di una illusione, che si è rivelata totalmente fallace. Questo significa che anche il mercato occidentale deve tornare stabilmente sotto il primato della politica. Se così sarà, una conseguenza appare sin d’ora inevitabile. La prevalenza dell’economia sulla politica, che ha sin qui caratterizzato i paesi occidentali nell’epoca della globalizzazione, ha tollerato, se non addirittura imposto, la crescita delle diseguaglianze, come ha rilevato Fausto Bertinotti su queste colonne. Un autentico ritorno della prevalenza della politica implicherà una lotta efficace alle diseguaglianze. Questo potrebbe anche determinare una nuova e diversa, e più condivisa, via di sviluppo della globalizzazione.