Sono mattine che mi sveglio con un tormento nel cuore e nella mente che si acuisce all’ascolto dei diversi giornali radio che narrano la cronaca della guerra in Ucraina. A volte sono preso da tentazioni belliciste che vorrebbero che abbandonassi la logica nonviolenta che mi accompagna da anni. Poi resisto. E ciò che mi fa resistere è vedere la moltitudine di donne e bambini che lasciano le loro case, i loro paesi, le loro chiese, gli ospedali per cercare oltre i confini un rifugio che li metta al riparo dalle bombe, dai missili. C’è sui loro volti una sofferenza indescrivibile. Chi dice sto con l’Ucraina “senza se e senza ma” e accetta o spera che le armi risolvano la situazione dimostra solo il suo cinismo. Ed è per questo che tutta la mia solidarietà va al direttore di questo giornale, preso di mira con parole insultanti per l’essersi proclamato pacifista.

Anche io credo che si debba stare con queste donne, e con questi bambini con amore: cogliere il loro dolore e farlo divenire proposta politica. È guardando i volti e gli occhi di queste donne e di questi bambini che mi sono chiesto se sia stato utile fornire armi ai resistenti ucraini. Alcuni amici mi hanno risposto che anche i partigiani hanno ricevuto le armi per combattere l’invasore nazista e i suoi complici. Credo che questa comparazione non regga e non stia in piedi. I contesti sono estremamente diversi; i partigiani potevano contare sugli Alleati che avanzavano da sud e sulla possibilità che il nemico occupante fosse sconfitto. Mi chiedo e lo chiedo a chi invia le armi e si sente protettore della resistenza all’invasione russa se queste sono le stesse condizioni che oggi esistono in Ucraina, oppure visto il cinismo che anima l’invasore se così non condanniamo a morte questi valorosi resistenti .

Si! Sono un pacifista, odio la guerra e cerco con tutta la forza della mia mente e del mio cuore di non lasciarmi travolgere dallo spirito bellicista che a fronte dell’orrore e dell’ingiustizia bussa alla mia porta. Non sono un vile né un codardo e sto con gli ucraini contro Putin e continuo a guardare con empatia al popolo russo. Come potrebbe essere altrimenti avendo letto con passione e emozione molte opere letterarie dei grandi autori russi? Aver ad un certo punto della mia vita scelto la Nonviolenza e averla, come sindacalista, praticata nel conflitto sociale come potrei oggi essere d’accordo sull’uso delle armi che ho sempre considerato, anche se con qualche dubbio, strumenti per la caccia o per il gioco? Sono anch’io convinto che stiamo vivendo momenti apocalittici che ci pongono di fronte alla possibilità che altri tempi apocalittici possano condurci al trionfo della Bestia. Ma sono altrettanto convinto che tempi come questi ci pongano di fronte alla necessità di agire per abbattere “Babilonia la grande”, ovvero quella roccaforte di poteri guidati dall’interesse egoistico e dalla violenza.

Essere nonviolento significa soprattutto non rifugiarsi nelle sicurezze del passato che solitamente hanno condotto verso “lo stagno di fuoco”, immagine apocalittica che indica l’annientamento totale. Ci si è scordati che con Hiroshima e Nagasaki la guerra è stata portata verso il punto estremo: in quell’occasione è divenuta uno strumento che non mira più solo alla sconfitta dell’esercito nemico ma all’annientamento di un popolo intero. È quello a cui assistiamo oggi in Ucraina: quando si bombarda un ospizio, una scuola e si mettono in fuga donne e bambini si tende a distruggere una popolazione. Io credo che il dovere che abbiamo oggi sia quello di salvare una popolazione e il suo futuro. Ovvero non consentire che questo popolo sia annichilito. Mantenere aperto uno spazio per cieli e terre nuove, per loro e per tutta l’umanità. Lo scontro in atto è sproporzionato in termini di forza e non lo si può contrastare con le armi a meno che non si decida di pensare a un improponibile guerra mondiale. Allora dobbiamo assistere passivamente? Credo proprio di no! Bisogna elaborare una strategia nuova che si potrebbe definire come quella del giunco.

Quando arriva la bufera il giunco si piega ma non si spezza e rimane vitale per rialzarsi al termine della tempesta. Una strategia che richieda una costante vicinanza al popolo ucraino, fatta di accoglienza dei profughi, di forniture di medicinali, viveri, coperte, vestiario e tutto quanto possa essere d’aiuto agli anziani, ai bambini e all’insieme della popolazione farebbe sì che ci fossero risorse bastanti per una forte e complessa resistenza civile non armata, capace di fiaccare moralmente gli invasori e soprattutto i loro comandanti. Mettere in atto la strategia del voltare le spalle.

La forza e l’oppressione può dare l’impressione di essere vincente per un certo periodo, ma sappiamo che essa può reggere finché un popolo, senza bisogno di ricorrere alla violenza, riesce a minare le basi di appoggio dell’invasore occupante e costringerlo a ritirarsi. La storia ce lo insegna. Le popolazioni oppresse che hanno utilizzato scioperi, boicottaggi, proteste di massa e altre forme di perturbazione dell’ordine sociale, hanno spesso dimostrato che le tattiche nonviolente sono i motori più potenti della liberazione. Mi rendo conto che il potenziale della resistenza civile rimane ampiamente sottovalutato perché le sue premesse sfidano nettamente le ipotesi convenzionali sulla natura del potere. Ecco come la nonviolenza a mio parere sta, senza se e senza ma, con il popolo ucraino.