Piercamillo Davigo è persona non gradita al tribunale di Milano. Il “daspo” è stato disposto dalla Camera penale del capoluogo lombardo. L’ex pm di Mani pulite era stato designato nei giorni scorsi da Palazzo dei Marescialli come suo rappresentante nel distretto di Milano alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario che si terrà sabato prossimo. Fra i motivi alla base dell’inopportunità della presenza di Davigo, le sue continue esternazioni sul ruolo dell’avvocato e sul diritto di difesa. Il casus belli, in particolare, è stata l’ultima intervista al Fatto Quotidiano.
Al giornale di riferimento dei grillini, fra una fake news e l’altra, Davigo si era lanciato in alcune bizzarre proposte come quella di «rendere responsabile in solido l’avvocato» in caso di ricorso. Secondo il “Davigo pensiero”, l’avvocato dovrebbe depositare all’atto della presentazione del ricorso «fino a 6mila euro e poi, in caso di inammissibilità (disposta dai colleghi di Davigo, ndr) del ricorso, verserà lui la somma al posto del cliente».
Proposte che avevano già scatenato l’ira di diversi Ordini forensi, come quello di Torino che aveva deciso di denunciarlo. Per chiedere la designazione di un “sostituto”, l’avvocato Andrea Soliani, presidente dallo scorso anno della Camera penale di Milano, ha scritto al capo dello Stato, al vice presidente del Csm David Ermini e a tutti i componenti, ai due capi di Corte, Giovanni Mammone e Riccardo Fuzio. La risposta del Csm, che solo il giorno prima aveva cacciato il pg Otello Lupacchini da Catanzaro, degradandolo a semplice sostituto a Torino, per aver “commentato” le modalità di gestione della maxi retata di Nicola Gratteri, è stata durissima. «Stupisce che venga proprio da una associazione di avvocati la richiesta – irricevibile e irrispettosa – di censurare la libera manifestazione del pensiero», si legge nella nota di risposta del Csm. I primi a difendere Davigo erano stati i suoi adepti di Autonomia&Indipendenza, la corrente da lui fondata che, grazie al “ribaltone” estivo del caso Palamara, dettano ora la linea a piazza Indipendenza. Questo il testo del loro comunicato.
«Non vogliono, gli avvocati milanesi un Magistrato (sì, proprio con la M maiuscola) che ha servito lo Stato con competenza e professionalità elevatissime e abnegazione eccezionale. Gli avvocati della Camera penale non vogliono confrontarsi con lealtà e correttezza sulle spinose difficoltà che impediscono il funzionamento della giustizia; non hanno alcuna volontà di concorrere a rendere la giustizia italiana più efficiente e più giusta trovando assai più comodo giocare il ruolo degli offesi. Abbiamo sempre pensato che l’Avvocatura dovesse rendersi interprete del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Oggi abbiamo capito che, nella realtà, non è così. Ma noi Magistrati non ci perdiamo d’animo e continueremo nella nostra incessante opera di tutela dei principi fondanti della giurisdizione. Insieme con Piercamillo Davigo, e orgogliosamente al suo fianco, traendo dal suo fulgido percorso professionale e dalla sua incessante difesa della Costituzione la forza di essere magistrati della Repubblica italiana».
In soccorso di Davigo anche le toghe progressiste di Area: «Non ci ritroviamo in diverse sue posizioni, e anzi in più occasioni le abbiamo confutate pubblicamente. Tuttavia, riteniamo inaccettabile e contrario alle regole fondamentali del vivere democratico discriminare chiunque in base alle opinioni espresse, e ancor di più tentare di privarlo del diritto di parola.
Le idee non condivise si contrastano con argomenti nell’ambito del confronto e del dibattito. Tutto il resto è frutto della degenerazione culturale che il nostro Paese sta vivendo, e gli avvocati italiani dovrebbero esserne ben consapevoli». Più soft, invece, il comunicato dell’Anm milanese, dispiaciuta per quanto accaduto e per la «mancanza di rispetto verso l’Ordine giudiziario ed il Csm». A fare da scudo umano sabato prossimo a Davigo ci sarà il ministro della Giustizia in persona.
Bonafede, invece di recarsi in distretti “problematici”, come ad esempio Catanzaro, dove sono stati rimossi, oltre al procuratore generale, il procuratore di Castrovillari ed il procuratore aggiunto, e dove ci sono decine di magistrati indagati per reati gravissimi o sottoposti a misure cautelari, come il presidente della Corte d’Assise, accusato di taroccare le sentenze, ha deciso di accompagnare Davigo nella passerella milanese. La “battaglia” sulla presenza di Davigo, comunque, ha anche un’altra lettura. Più importante. E cioè la sua permanenza in servizio. A ottobre il magistrato compirà settant’anni e dovrà andare in pensione. Senza Davigo, un certo modo di vedere la giustizia è destinato a sciogliersi come neve al sole. E questo il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede e i grillini lo sanno molto bene. Come lo sanno molto bene anche al Fatto Quotidiano.
