« The products are made in the factory, but brands are built in the mind».  Le fabbriche realizzano i prodotti, ma i brand sono frutto della mente. Questo aforisma di Walter Landon, uno fra i maggiori brand designer pioniere delle tecniche di ricerca sul marchio e sui consumatori ampiamente utilizzate fino a oggi, dice molto circa la realtà del Mezzogiorno (e di Napoli). Quali che siano i suoi prodotti e i risultati che consegue, è come se le “eccellenze del Sud”, che si affermano anche nel campo della manifattura ad alto contenuto di ricerca e tecnologia, restassero nel perimetro della concezione episodica, senza mai diventare segnali chiari e forti di tendenza di lungo periodo. Bellezze naturali, patrimonio culturale, biodiversità, capacità di primeggiare in tanti ambiti, il Mezzogiorno li ha e in misura sovrabbondante.

Ma il suo “soft power” rasenta il grado zero (e, a volte, vale meno di zero). I valori del Sud non diventano mai brand. E questo è molto grave nel mondo di oggi, dove molto del valore aggiunto di un prodotto dipende dalla comunicazione efficace che lo precede e lo segue, vuol dire, appunto, la capacità di suscitare “buona stampa”, vale a dire credibilità e reputazione, considerazione e rispetto. Il Mezzogiorno ha bisogno di autorevolezza. Invece l’immagine che proietta all’esterno non corrisponde quasi mai ai suoi interessi strategici. Sud vuol dire “ritardo”, inadeguatezza, disorganizzazione e approssimazione (nel migliore dei casi). Difatti «non sa spendere le risorse» che mette a sua disposizione l’Unione europea. La sua classe dirigente non sa uscire dalla morsa del familismo amorale. Di queste cose si discute da sempre sui media. Spesso con l’enfasi divisiva delle chiacchiere da bar.

Per questo è nato il progetto di ricerca intitolato L’informazione (s)corretta: giornalismo e narrazione del Sud tra stereotipi e pregiudizi, presentato alla Camera di commercio di Napoli. L’obiettivo è sganciare il dibattito sul Mezzogiorno dai preconcetti e di analizzare in maniera oggettiva (scientifica) la persistenza di stereotipi, dando un contributo alla comprensione del modo in cui la stampa contribuisce ad alimentare quel repertorio di immagini e metafore che rappresentano una sorta di “archivio del pregiudizio” nei confronti di alcune zone del Paese. Il progetto nasce da un’idea del Sugc (Sindacato unitario dei giornalisti della Campania),che si avvale di una collaborazione con il Dipartimento di Scienze sociali dell’Università Federico II, l’Istituto di Media e Giornalismo (IMeG) dell’Università della Svizzera italiana (USI) di Lugano e l’Osservatorio europeo di giornalismo (EJO) dello stesso ateneo.

Con la prima ricerca si è scelto di indagare il dibattito innescato dall’impatto del Covid sul Paese, in un periodo di analisi che va dal primo febbraio al 31 agosto 2020. Gli articoli (278) sono stati raccolti tramite il database Factiva utilizzando come parola chiave di ricerca: “Covid-19 AND Meridione OR Mezzogiorno” e l’analisi qualitativa, tuttora in corso, verrà realizzata con interviste somministrate a testimoni privilegiati, prevalentemente giornalisti. Si avvale di un gruppo di lavoro del Dipartimento di Sociologia della Federico II, composto da Stefano Bory, Luca Bifulco e Rosaria Lumino ai quali si affianca Philip Di Salvo, dell’Istituto di media e giornalismo, Università della Svizzera italiana.