Agricoltura
Biotecnologie e rapporti sociali. La ricetta per il futuro agricolo
L’agricoltura europea si trova di fronte a un bivio storico. Da un lato, il peso crescente del cambiamento climatico, la pressione della competizione globale e i limiti demografici di un settore che invecchia; dall’altro, la possibilità di ripensarsi come laboratorio di innovazione sociale, ambientale e tecnologica.
Nei giorni scorsi, proprio dalle pagine del “Riformista”, Alfonso Pascale nel suo articolo insisteva sull’urgenza di puntare su due pilastri: innovazione genetica e apertura dei mercati. Le Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA), in particolare, vengono viste come un’occasione per accelerare l’adattamento delle colture mediterranee agli stress climatici. Rendere il cannonau più resistente alla siccità, o l’ulivo meno vulnerabile alla xylella, significherebbe difendere non solo produzioni strategiche, ma interi paesaggi culturali. Parallelamente, la ricerca di nuovi mercati globali potrebbe rafforzare l’immagine del made in Italy, trasformando vino, olio e formaggi in simboli di qualità e identità culturale.
Posizioni assolutamente condivisibili, ma fermarsi a questa prospettiva rischia di essere riduttivo. C’è un’altra dimensione di sviluppo economico che sta emergendo anche alla luce delle situazioni geopolitiche in atto o della questione dazi: quella dell’economia civile del prof. Stefano Zamagni insieme agli studi sull’economia della felicità, teorizzata dal prof. Stefano Bartolini, economista dell’Università di Siena. I dati mostrano che laddove si investe in modelli economico-sociali capaci di generare fiducia, cooperazione e sostenibilità, i benefici sono tangibili. Nel settore primario, un’indagine ISTAT del 2022 evidenziava come nelle regioni con forte presenza di filiere corte e cooperative agricole, i giovani imprenditori agricoli dichiarino livelli di soddisfazione del 15% più alti rispetto a zone dominate da aziende individuali. A livello europeo, Eurostat segnala che Paesi come Danimarca, Olanda, Svezia, con alti livelli di fiducia, welfare inclusivo e capitale sociale forte, si collocano stabilmente sia in cima agli indici di felicità che tra le economie più competitive e con PIL pro capite elevato. In questi Paesi i tassi di insediamento giovanile sono quasi doppi rispetto alla media UE: fino al 18% dei nuovi imprenditori agricoli ha meno di 35 anni, contro il 9-10% della media continentale.
E in Italia? I numeri parlano chiaro: oltre il 57% degli agricoltori ha più di 55 anni, mentre solo il 10% è under 40. Un dato che, se non invertito, rischia di consegnare vaste aree rurali all’abbandono. Ma per invertire la rotta non basta la leva economica. I giovani chiedono anche qualità della vita: servizi, connessioni digitali, reti sociali. Senza questa dimensione, l’agricoltura resta percepita come fatica e isolamento. La vera sfida è far dialogare questi due mondi. Da un lato, le TEA e le biotecnologie offrono soluzioni concrete ai rischi climatici e fitosanitari. Dall’altro, anche con l’ausilio delle tecnologie le reti comunitarie e le filiere di prossimità restituiscono senso e valore al lavoro agricolo. Un ulivo resistente alla xylella può salvare l’economia pugliese, ma solo se si traduce anche in una filiera capace di generare turismo rurale, prodotti identitari, legami sociali. Allo stesso modo, la blockchain non serve solo a tracciare i passaggi di una bottiglia di vino, ma a costruire fiducia tra consumatori e produttori, trasformando un atto di acquisto in un’esperienza di appartenenza.
Esempi concreti non mancano. In Trentino, cooperative di giovani viticoltori hanno abbinato sistemi digitali di tracciabilità al turismo esperienziale, con un aumento del 25% delle vendite dirette in pochi anni. In Lombardia, i sistemi di “farmer’s box” online hanno rafforzato i legami con i consumatori urbani, riducendo del 20% l’abbandono aziendale nei territori marginali. In Umbria stiamo costruendo progetti dove i cittadini sono titolari di negozi di quartiere e dialogano con i produttori locali per definire produzioni e giusto prezzo. In Francia, i progetti “AMAP” (Associazioni per il mantenimento di un’agricoltura contadina) hanno dimostrato che i contratti di solidarietà tra agricoltori e cittadini non solo garantiscono reddito stabile, ma ricostruiscono fiducia e senso di comunità. Non va sottovalutata la dimensione culturale. Le TEA incontrano diffidenze nell’opinione pubblica, così come l’apertura dei mercati genera timori legati al dumping e alla concorrenza sleale. Ma proprio un approccio integrato, capace di legare innovazione e benessere collettivo, può aiutare a superare queste resistenze.
Le campagne di comunicazione che parlano solo di produttività o di competitività rischiano di lasciare il pubblico freddo, o addirittura ostile. In questo senso, l’agricoltura può diventare il terreno dove l’innovazione tecnologica si “umanizza”, trovando legittimazione nel miglioramento della vita quotidiana delle persone. Non un laboratorio isolato, ma un pilastro del nuovo welfare territoriale. Il nodo centrale resta il ricambio generazionale. Non a caso, la nuova PAC europea insiste con incentivi specifici per i giovani, ma la burocrazia e la lentezza dei processi spesso scoraggiano chi vorrebbe intraprendere. Se l’agricoltura non diventa un settore capace di promettere non solo reddito ma benessere complessivo, difficilmente le nuove generazioni risponderanno alla chiamata. Ed è qui che la combinazione di tecnologia e felicità diventa la vera leva: le TEA e la digitalizzazione rendono più efficiente e meno rischiosa la produzione; le comunità cooperative, le reti di prossimità e i modelli multifunzionali restituiscono senso, identità e qualità della vita.
In definitiva, il punto non è scegliere tra competitività e felicità, tra mercati globali e comunità locali, tra biotecnologie e agroecologia. La sfida è tenere insieme queste dimensioni in un disegno coerente. Come ricordano i due Professori, “l’economia civile o quella della felicità passano da grandi riforme strutturali” che sappiano bilanciare economia, ecologia e relazioni sociali. L’agricoltura, per la sua natura radicata nel territorio ma proiettata sui mercati globali, può diventare il campo di sperimentazione più avanzato di questo nuovo equilibrio.
Il futuro del settore non si giocherà solo nei laboratori di genetica o nelle fiere internazionali, ma nelle campagne dove i giovani decideranno se restare, innovare e costruire comunità. Un luogo dove il cibo non sarà soltanto nutrimento per il corpo, ma anche per lo spirito e le relazioni. Perché, in fondo, l’agricoltura non deve scegliere se produrre di più o rendere felici le persone: deve imparare a fare entrambe le cose. E lì, esattamente lì, si gioca il futuro dell’Italia.
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