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6 x 4, se fossi Salvini

Avvocato e scrittore
6 x 4, se fossi Salvini

Se fossi Salvini.
Ecco questa è la riflessione di oggi. Ho provato a immaginarmi seduto alla faranoica scrivania del Ministro delle Infrastrutture intento, in primissima mattinata, a pensare cosa potesse essere utile per il paese sì da dargli una svolta talmente significativa da lasciare una traccia nella storia.
Qualcosa che riguardi la attività di Ministro ma non scevra del contorno derivante dal suo ruolo di leader politico.
È ovvio che in questa mia esercitazione di fantasia ho dovuto fare i conti con le tante cose che mi dividono dall’ex “Capitano degli italiani”, tanto ex che ormai assomiglia più a Schettino che a Ubaldo degli Uberti.
Indubbiamente non ho la sua carriera politica e, a differenza sua, non solo non ho una incatenata appartenenza allo scranno parlamentare, tanto incatenata che il tempo si è trasformato in ruggine, ma in parlamento non ci ho proprio messo mai piede.
Non ho neanche i suoi trascorsi da aspirante talent dei quiz televisivi avendo io cercato di arare la cultura sui libri piuttosto che tra i riquadri dei cruciverba.
Non ho il suo seguito tra la pubblica opinione anche se se lo sta rosicando pian piano e anche se avere il consenso di beoti, adornati dalle corna dei vichinghi, non è mai stata una cosa che ha destato le mie passioni.
Non ho infine il suo senso dello spettacolo a sensazione anche perché quando ho ammirato due tette è stato tra le pareti delicate ed intime di un rapporto sentimentale, e non dalla ribalta del Papeete proiettata su tutti i media nazionali, e anche perché, essendo laico, non ho mai usato rosari e icone della Madonna per dare forza alle mie idee perché la religione è fonte di spiritualità per miliardi di persone e non un carrozzone per manifesti elettorali. Senza tacere poi che Salvini, quei valori della religione, li calpesta in ogni respiro della sua vita a cominciare dalle bordate contro i migranti per finire alla irregolarità delle sue innumerevoli vite familiari.
Ma soprattutto mi divide da lui la cultura politica.
La mia, che ho meditata e maturata negli anni da quando, giovane universitario, svoltai nella vita abbracciando i valori del riformismo, è ben distante dalla “non cultura” di Salvini che lo ha portato dal comunismo extraparlamentare allo sloganismo contemporaneo fatto di un melange populista a sensazione mischiato a una dozzinale raccolta di frasi fatte che il calendario di Frate Indovino a confronto sembra la Divina Commedia.
Ed è proprio su questo terreno che viene marcata la differenza tra quello che si sta probabilmente accingendo a pensare lui e quello che, seguendo la mia immaginazione, verrebbe in mente a me. Che non è certo sparare le solite boutade sulla castrazione chimica, o sul “celodurismo” del nuovo scrittore di successo con le stellette da Generale e il paracadute della Folgore o, immagino ben presto, sul “martirio” del povero Trump. Devo premettere, prima di addentrarmi nel prosieguo del racconto di questa primissima mattinata di fine agosto (tanto amena che le notizie di attualità sono quelle di dieci giorni fa sul costo della benzina e di cui ho già parlato su altra testata), che sono sempre stato convinto, ritengo da buon riformista, che la spinta verso il progresso non può prescindere dalla innovazione tecnologica, che tutt’al più va governata ma non abiurata. E specie nel campo delle infrastrutture con la consapevolezza che il principio del progresso e dell’ammodernamento si sposa con il benessere dei cittadini, con la loro sicurezza, con un risparmio dei tempi che rende sempre più facile la compatibilità tra il lavoro e le irrinunciabili esigenze di natura familiare e affettiva.
Perché è grazie a quegli accenni (a volte timidi rispetto a molti altri paesi) di innovazione tecnologica, nel campo per esempio dei trasporti, che avere la famiglia a Roma e il lavoro a Milano non è più una cosa impossibile, è grazie a quei timidi accenni che quando si scorrono le proposte di lavoro non è più necessario passare il compasso sulla cartina per selezionare le offerte “non lontano da casa”.
E mentre girandoci attorno non possiamo fingere di non vedere quanta arretratezza c’è ancora nel nostro paese, (vedi la Roma-Pescara cancellata proprio da Salvini o la restituzione delle autostrade abruzzesi ai Toto) non possiamo neanche fingere di ignorare quanto siano avanzati, per esempio, in Svezia dove autostrade superveloci percorrono gli abissi dei tempestosi mari del nord per riemergere sulle isole e permettere a caselli innovativi di smaltire il traffico verso gli arcipelaghi.
Senza omettere di osservare che questi avveniristici impianti infrastrutturali sono stati realizzati nel pieno della cultura e della tradizione scandinava, celebre per il suo rispetto per l’ambiente, e sono considerati totalmente compatibili con le esigenze di natura ecologica.
E poi c’è il discorso sicurezza che non può essere perseguito solo con l’inasprimento della severità di pene e sanzioni perché sappiamo tutti che gli incidenti stradali continueranno sempre a esserci e svegliarsi dal torpore di ministro solo dopo l’ennesimo decesso sull’asfalto per invocare gridando l’ergastolo della patente è una sceneggiata di una ipocrisia unica.
Non servono atteggiamenti draconiani per risolvere il problema della sicurezza della circolazione se non si ammodernano strade e autostrade che basta percorrerle e guardarle per renderci conto di quanto siano pericolose. Specie al sud!
Ed ecco allora l’idea e il senso dell’articolo perché, se questa mattina fossi stato Salvini, avrei avuto l’illuminazione dello slogan: 6×4.
Che non fa 24 ma è un esempio di ciò che secondo me servirebbe al paese a crescere e a essere più sicuro.
Tutte le strade statali a 4 corsie (due per ogni ordine di marcia) e tutte le autostrade a 6 corsie. Per rendere meno pericolose le velocità, meno pericolosi i sorpassi, più rapida e confortevole la marcia soprattutto sui lunghi tragitti. Questo, caro Matteo, sarebbe una delle tante cose da fare, ben si intende non l’unica, ma che forse più del ponte sullo stretto rivoluzionerebbe e ammodernerebbe il paese. Un progetto grandioso di grande tespiro e dai lunghi tempi ma già solo avviarlo e farne i primi passi sarebbe un segnale di progresso e civiltà.
Ma tu non te ne curi e stai sulla tua poltrona da ministro a sfogliare le agenzie di stampa per trovate notizie che sollevano scalpore e darti l’opportunità di solleticare la pancia del paese con i provlami più scontati che esistano. E purtroppo per l’Italia le mie sono state solo fantasiose suggestioni raccontate in una prima mattina di fine agosto sdraiato su un lettino mentre indugiavo al seducente invito dell’Adriatico abruzzese.