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Asimmetrie percettive

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Asimmetrie percettive

Negli ultimi mesi il destino delle partite iva è stato scandito dai monitoraggi settimanali riguardanti i dati sulla pandemia. Ristoratori, baristi, artigiani (per limitarci soltanto ai “piccoli”), tutti ad attendere il venerdì sera per capire il colore della Regione e potersi regolare di conseguenza.

Il Ministro Speranza ha più volte evidenziato l’efficacia del sistema a zone colorate e ne ha rivendicato, oggettivamente, i benefici sul controllo della pandemia. Gli italiani, si sa, sono un popolo mite e dal temperamento flessibile ed alla fine si sono abituati anche a questa metodologia, che ha determinato aperture e chiusure delle attività in base a parametri fissati come indicatori della progressione del virus.

Negli ultimi giorni i principali organi di stampa hanno anticipato la notizia secondo la quale, probabilmente, non si avranno più zone bianche e zone gialle per tutto il mese di aprile, ipotesi fortemente caldeggiata dallo stesso Ministro. A questo punto le domande sorgono immediate: il sistema delle zone colorate, dunque, non era abbastanza valido? Se era valido, allora perché decidere di chiudere tutto, con un mese di anticipo, senza attendere i monitoraggi settimanali? Se il criterio non era valido, si sono sopportati enormi sacrifici sulla base di presupposti errati?

Viene facile evidenziare una differenza di percezione da parte dei cittadini comuni rispetto ai messaggi ricevuti: quando Mattarella si mette in fila al centro vaccinale, quando Draghi spiega che attende il proprio turno, il cittadino apprezza ed il governante si pone al riparo di critiche e proteste. Ci si sente tutti sullo stesso piano. Quando il titolare di partita iva apprende che da qui a 40 giorni non ci saranno zone bianche e gialle ed il messaggio arriva da chi è stipendiato e non salterà neanche un mese di retribuzione, allora non si sente più  sullo stesso piano ed il sacrificio che viene chiesto di compiere ricorda il famoso “armiamoci e partite”. Il proprio sacrificio viene percepito estremamente più pesante rispetto a chi ce lo impone e qui nasce un’asimmetria difficile da accettare.

L’unico modo per riequilibrare la situazione sarebbero i ristori che tuttavia, ad essere realisti, a stento coprono una parte dei costi fissi delle attività e, dunque, non sortiranno particolari effetti positivi e riequilibratorii. E allora l’unica via possibile è quella di assicurare la ripartenza delle attività laddove i dati del contagio lo consentano, perché il  vero ristoro è rappresentato dalla possibilità di incassare denaro dalla propria attività imprenditoriale. Allo stesso tempo occorre mettere in pista degli strumenti efficaci ed immediati , che possano sostenere la liquidità necessaria alle imprese nella fase della ripartenza. Altrimenti si corre il rischio che le risorse immesse nel sistema vengano utilizzate dalle imprese per saldare i debiti pregressi, con ciò rendendo impossibile lo sviluppo e la ripartenza.

Torno ad insistere sul Reverse Factoring (si veda mio Blog dello scorso 19 marzo sul tema) come uno degli strumenti per ridare ossigeno alle imprese e salvaguardare le filiere, unitamente a tutti gli altri interventi volti a sostenere la liquidità necessaria alla ripartenza.

In conclusione, se il lavoratore privato percepisce il proprio sacrificio come equo rispetto a quanto sopportato dal lavoratore pubblico, si evitano pericolose contrapposizioni sociali e si potrà guardare con maggiore serenità al futuro, programmando rapidamente la ripartenza dell’economia reale.

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