Faccio due premesse. La prima è che, durante le prime 3 edizioni, io alla Leopolda non c’ero. Anzi, vi dirò di più, non sono una “renziana della prima ora“, non faccio parte di quel gruppetto di persone che ci hanno creduto da subito (o hanno fatto finta di crederci, per convenienza).
La seconda è che io Carlo Calenda non lo sento parte di un progetto comune al mio, e non ho mai condiviso la scelta del mio partito di appoggiarlo nella corsa a sindaco di Roma. Io Matteo Renzi l’ho dovuto conoscere per capire chi fosse davvero. Non mi ha dato nulla, per cui debba essergli “fedele a prescindere“. Non sono parlamentare, vivo del mio lavoro come ho sempre fatto. Ecco perché, conoscendolo, ho deciso di seguirlo. E da quel momento non ho più smesso.
L’ho sostenuto come segretario del PD, ero al suo fianco quando quel PD lo aveva messo ai margini, l’ho seguito nella fondazione di Italia Viva. In questi anni ho frequentato la Leopolda.
La prima volta con timore, la seconda con curiosità, la terza con passione… via via fino a l’ultima. Sono stata ospite in sala, protagonista sul palco e ieri presentatrice dell’ultima giornata.
La Leopolda mi ha fatto scoprire ciò che è la politica. Lì le idee diventano progetti, i sogni diventano realtà. Lì un ragazzino di 18 anni appassionato di politica può trovarsi al tavolo con un ministro, un sottosegretario, un parlamentare e non solo può imparare da lui, ma può esporre i propri pensieri ed essere ascoltato. Ho 36 anni e faccio politica da 22 anni. Ho fatto tante scuole di formazione da ragazzina, ma nessuna mai mi ha dato le opportunità che i giovani ritrovano nella Leopolda. Lì non ci sono correnti, non contano le amicizie.
Alla Leopolda si va avanti solo se hai qualcosa da dare e da dire.
Il talento, la capacità, sono punti essenziali che negli anni ti portano a ritargliarti il posto che meriti. Io ne sono un esempio vivente. Nessuno mai aveva creduto in me, nonostante al mio vecchio partito avessi dedicato gli anni della formazione, le mie esperienze, il mio impegno. Ero solo un numero, da considerare solo durante le campagne elettorali o per scaldare una sedia in sala durante la visita di un “big“.
Matteo Renzi mi ha conosciuta e mi ha messa alla prova. Senza motivo, senza un perché. Ha semplicemente creduto in me. Da quel momento mi sono messa in gioco, in sfide che nessuno voleva compiere. Sono caduta, mi sono fatta malissimo, ma mi sono rialzata quando nessuno ci credeva. E lui era lì, come il primo giorno, a credere ancora in me. E non solo Matteo, ma tutto il popolo della Leopolda. Non quello che sgomitava per un selfie con l’allora “premier“, e che poi lo ha rinnegato dopo la sua caduta, ma il popolo che in questi 3 giorni ci ha accolti con forza ed entusiasmo, quella delle prime volte, quella genuina, quella che è pura e semplice passione politica.
Perciò provo profonda tristezza per Carlo Calenda, quando parla di noi come un branco di marionette senza cervello e senza cuore. Perché, semplicemente, Calenda non ci conosce e, cosa peggiore, non avrà mai il privilegio di vivere le emozioni che viviamo noi ogni anno. Siamo bravi? Forse. Siamo belli? Può darsi. Abbiamo sempre ragione? Probabilmente no.
Ma una cosa è certa. Carlo Calenda non ha nulla da insegnarci. Anzi, da molte ragazze e molti ragazzi che in questi anni sono passati da quel palco, avrebbe molto da imparare.
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