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Delude “I miei eroi”, l’ultimo libro di Pierluigi Battista

Insegnante, giornalista e scrittore
Delude “I miei eroi”, l’ultimo libro di Pierluigi Battista

“Una delle prime cose che scopriamo in questi gruppi è che i problemi personali sono problemi politici. Non ci sono soluzioni personali in questo momento. C’è solo un’azione collettiva per una soluzione collettiva.” Così sosteneva l’attivista femminista radicale americana Carol Hanisch negli anni Sessanta. Ed è paradossale che proprio Pierluigi Battista, uno dei giornalisti e commentatori forse più lontani, oggi, dai concetti del movimento radicale femminista della metà del secolo scorso, abbia scelto la chiave del “personale è politico” per elaborare il suo ultimo saggio, I miei eroi. Un amore testardo e duraturo. Hannah Arendt, Albert Camus, George Orwell, (La nave di Teseo, 2023, 176 pp., €16).

Così, se vi aspettate un libro in cui l’autore racconti, citandoli o parafrasandoli, gli insegnamenti ricavati dai suoi tre “eroi”, spiegando magari il contesto culturale e storico di quelle citazioni, di quegli insegnamenti, rimarrete delusi. E dire che qui siamo al cospetto di veri e propri giganti sulle cui spalle noi socialisti-liberali tentiamo immodestamente di salire per capire qualcosa in più di questo presente complesso e imprevedibile.

Infatti, in queste 176 pagine ci sono pochissime citazioni e ancor meno parafrasi. Battista punta quasi tutto sulle biografie dei tre intellettuali, sottolineando aspetti che il più delle volte hanno a che fare con il privato, il sentimentale, l’emotivo, che non con il lato pubblico o intellettuale. Il privato è politico, appunto.

Ahimè, ne viene così fuori un libro ibrido, di aneddotica. Pubblicistica aneddotica, forse la peggiore. Dove l’autore non offre grandi, piccole o medie riflessioni personali sul modo in cui Arendt, Camus e Orwell lo hanno aiutato a formarsi (o ri-formarsi, nel caso di Battista) una sfera culturale, ma ci racconta di dettagli marginali che riguardano aspetti privati di questi grandissimi del pensiero. Così veniamo a sapere di come morirono (di tubercolosi, Orwell e Camus), di quanto patirono la solitudine (Orwell) o il sentirsi isolati (tutti e tre) e apolidi (Arendt), di come furono traditi dai loro compagni, dei loro drammatici amori corrisposti a metà.

Battista dà ai suoi eroi l’etichetta, per lui da interpretarsi in chiave positiva, di “anime belle”, al modo in cui l’inventore di tale espressione, il Goethe del Wilhlem Meister l’aveva intesa nel sesto capitolo del suo famoso romanzo. Battista rivendica à la Judith Butler la nobiltà della locuzione, recuperandola dal cono negativo in cui Hegel l’aveva gettata nelle ultime pagine della sua Fenomenologia dello Spirito. Va detto che l’acrimonia contro il filosofo di Stoccarda appare qui un po’ fuori posto, perché per lui un’anima bella era chi, convinto della propria purezza, si rifiutava di venire coinvolto nelle vicende del mondo; proprio non si vede come Arendt, Camus e Orwell possano mai essere associati a quella interpretazione hegeliana di “anima bella”. A ogni modo, Battista trasforma l’eventuale purezza o ingenuità naturale dei suoi “eroi” in una caratteristica scelta a livello intellettuale. Li giustappone ad altri nomi celebri – su tutti, direi Bertolt Brecht, ma anche Golo Mann, Barbara Tuchman,  – per far risaltare quanto questi altri abbiano scelto invece di aderire in modo ortodosso, cieco e cinico e spesso traditore financo dei loro amori, al dettato del partito o del regime. Quasi sempre si tratta di un partito comunista o proprio di quello di Mosca: Battista è un terzista che fu socialista nenniano, per poi staccarsi dall’universo della falce e martello e diventarne un critico puntuto: un percorso comune a molti terzisti.

Il libro però delude non solo perché non è classificabile: non è una biografia culturale, non è un saggio di critica intellettuale, non è un testo di filosofia politica, non è un’antologia del meglio di, ma soprattutto non si coglie una tesi chiara dell’autore. Manca poi – come accade quasi sempre ai testi dei giornalisti famosi che vendono copie grazie alle millemila ospitate in tv nei salotti che contano, a prescindere dalla qualità dei loro lavori – un vero e utile editing che indirizzi l’autore a scegliere una strada e tagli le ridondanze, le ripetizioni, gli inserti spuri. Cos’altro sono i tantissimi riferimenti sparsi per tutto il volumetto a Mary McCarthy, grande amica di Hannah Arendt e formidabile penna capace di sputtanare i suoi colleghi comunisti a stelle e strisce della Partizan Review? McCarthy sarebbe dovuta diventare la quarta eroina di questo libro, data la quantità di materiale su di lei, oppure venire sfrondata, espunta, resa una figura non così centrale all’interno di queste pagine. Lo spazio dato ad altre “anime belle” (Simone Weil, Nicola Chiaromonte, Walter Benjamin, Arthur Koestler) avrebbe potuto poi costituire un capitolo a parte, magari da intitolare “Altri irregolari”, da rimpolpare per arrivare a 200 pagine. Pessimo anche il lunghissimo prologo, che presenta tutti gli “eroi” saltando di palo in frasca, rimanendo in superficie, introducendo senza spiegare al lettore meno avveduto di chi stiamo parlando. Qual è poi il fine del capitolo 4, “Contro l’idealismo della crudeltà” che rimane appeso come una sorta di appendice in cui, di nuovo, Battista mescola i suoi protagonisti con una serie di comprimari, senza però offrirci le sue conclusioni?

Insomma, sembra di essere davanti a un’occasione persa. E proprio mi sfugge tutta questa morbosa attenzione dell’autore nei confronti di aspetti privati di questi personaggi, che hanno lasciato una traccia nella storia del pensiero occidentale del 900 non per il numero di scarpe (46, per Orwell, cosa che colpisce molto la fantasia di Battista, al punto da ripeterlo due o tre volte) o per aver fumato i sigari Havana (Arendt), o per la spasmodica ricerca di una moglie che lo accompagnasse nelle sue ultime settimane di vita (ancora Orwell), o per il carattere da play boy di Camus o, infine, per il folle e profondissimo innamoramento di Arendt nei confronti del suo “Mago”, il maestro nazista Heidegger–ma per ciò che hanno saputo descrivere, denunciare, analizzare.

Bene invece la bibliografia semi-ragionata a fine libro, altro elemento che rende il volume un ibrido: in genere nelle opere di pubblicistica manca la bibliografia, così come mancano le note a pie’ di pagine. Qui le note latitano, ma la bibliografia semi-ragionata c’è.