“Stiamo vivendo un trauma, ma noi dobbiamo provare a governare il carattere ingovernabile del trauma.” Sono le parole dello psicoanalista e accademico Massimo Recalcati, in una bella e intensa chiacchierata su Instagram con Matteo Renzi, qualche sera fa.
Ci sono molteplici modi di governare un trauma, c’è chi lo fa riducendo l’allarme, chi alimentandolo un entropico terrore, chi attende risultati a consuntivo per poter prendere una decisione e chi, come dovrebbe fare un politico che tale si definisce, anticipa, evita di perdere prezioso tempo, immette nella società nuove radici.
Ho intenzione di focalizzare questo messaggio su una tematica in particolare: la scuola, l’educazione didattica. Il periodo di quarantena forzata ci ha insegnato che, con caparbietà e magari talvolta attraverso inattese scoperte di doti informatiche, la didattica a distanza può funzionare. Alcuni ragazzi la trovano addirittura divertente, una novità poter far lezione dalla propria scrivania di casa, magari dallo stesso schermo attraverso il quale solitamente giocano ai loro videogame preferiti. Anche questo metodo è fortemente educativo, un messaggio lineare di quanto sia possibile modificare i nostri stili di vita, o di lavoro, con gli strumenti di cui l’epoca in cui viviamo ci dota. Però la scuola, come la vita, è spesso un collettore individuale di performance valutabili, lo stimolo a migliorarsi avviene attraverso una analisi dei risultati conseguiti, dei voti sul registro elettronico, degli esami. Si dice sempre che la vita è un esame continuo. È così, non se ne può, ne deve, fare a meno. E allora capirete la mia totale contrarietà ad ogni forma di sei politico, ad una sorta di reddito di cittadinanza della scuola, un metodo dalle fondamenta anti meritocratiche. E badate, non lo penso perché travolto da un innaturale cinismo nei confronti dei ragazzi già coinvolti in una situazione più grande di loro, più grande di tutti noi. Lo penso proprio per loro, i nostri giovani, per chi ha immaginato il percorso scolastico come un mattone dietro l’altro da porre per la costruzione di una persona, di un futuro adulto con basi solide, di pensiero, di lucidità cerebrale. Sono loro, ne sono certo, i primi a voler essere valutati, a voler capire il grado di apprendimento e cogliere dove e come possono migliorare. Perché sì, la scuola è anche curiosità. Un bravo insegnante per interessare deve incuriosire, come lo può fare un libro, un film, una serie tv, un gioco al computer, questo deve poter fare un professore. Per questo motivo io credo che gli esami di terza media e la maturità non debbano essere soppressi, sarebbe un furto alle stesse consapevolezze dei nostri ragazzi. Per molti un furto al loro presente, per altri che oggi ne colgono l’importanza, un furto al loro futuro.
Sono ovviamente conscio che non sarà facile e che le scuole con enorme probabilità non riapriranno in questo anno didattico, ma per le gli esami ci si può attrezzare, governando il carattere ingovernabile del trauma, con gli strumenti e le capacità degli insegnanti, e si spera, del Ministero competente. Permettetemi un ultimo appunto. Le scuole sono chiuse, le strade semi deserte, le giornate interminabili e l’indotto professionale dei cantieri, bloccato. Questo è il tempo di annullare, forzatamente, ogni cavillo burocratico che impedisca l’apertura dei cantieri di edilizia scolastica. Si affidi ai sindaci, agli amministratori territoriali delle giunte, il compito imprescindibile di fare partire i lavori di ammodernamento e spesso di vera e propria ristrutturazione e rifacimento delle nostre scuole. I nostri ragazzi necessitano un insegnamento costante, con misurazioni personali delle performance di apprendimento, ma altrettanto di una struttura solida, protettiva, non vetusta che permetta loro di sentirsi parte di un progetto che formerà le future donne e uomini di domani attraverso un faro che, oggi più che mai, valutiamo come imprescindibile: la cultura, in qualsiasi forma essa si esprima.
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