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Grande Europa, una casa “Comune”

Agitatore culturale
Grande Europa, una casa “Comune”

Ogni secolo porta con sé il proprio modello sociale e la sua rispettiva forma di governo. Il Novecento si è sicuramente caratterizzato nel solco dello Stato “Nazione”. L’evoluzione stessa della società, gli avvenimenti storici e i terribili conflitti tra nazioni (di cui i maggiori quelli mondiali), ci hanno condotto a superare tale modello. Oggi, nel tentativo di arginare gli effetti negativi della sregolata e veloce globalizzazione e la tendenza ad un policentrismo mondiale, emerge ancora più forte la necessità di mettersi insieme per reggere la sfida globale, contraddistinta da flussi e competitor (stati, continenti e multinazionali) sempre più grandi. In questo scenario, ad esempio, gli Stati europei, troppo piccoli per pensare di esistere in un mondo così grande e veloce, si sono rifugiati e continuano a farlo (seppur rallentati dal mix di ottusità e ignoranza dei sovranisti) nella costruzione di un’Unione Europea sempre più coesa e forte. Una direzione obbligata questa, dettata dalla necessità di sopravvivenza nonostante i molti errori commessi durante il percorso di unificazione: dal disegno della forma stessa delle istituzioni, agli assurdi poteri di veto dei singoli stati. Occorrono, poi, arbitri internazionali che si pongano l’obiettivo di regolare i rapporti di forza, evitando le degenerazioni legate a violenze e guerre. Il prezzo da pagare per tutto questo, nonostante gli sforzi per evitarlo, sarà quello di un distacco tra le nuove grandi istituzioni, sempre più articolate e sovranazionali, e i cittadini che le eleggono (questa dovrebbe rimanere una condizione essenziale), attraverso procedure più o meno dirette. Questa distanza riguarda la società nel suo complesso e la fragilità dei processi di coinvolgimento e partecipazione alla vita da cittadini attivi, informati e consapevoli. È fondamentale pertanto promuovere la cittadinanza attiva e la crescita culturale che permetta di sconfiggere l’analfabetismo funzionale che frena e ostacola la lettura della complessità dei fenomeni che viviamo, ma non solo. Il riconoscimento istituzionale dell’importanza della dimensione comunale, potrebbe rappresentare la soluzione adeguata per soddisfare l’esigenza di partecipazione dei cittadini e con essa una concreta forma di condivisione del potere.

Non parliamo di una novità della storia, per secoli infatti sono stati i comuni il pilastro della vita politica e sociale, soprattutto in Europa. Dalla polis greca ai giorni nostri, il carattere occidentale si è forgiato nelle città. Ad esempio, noi europei costituiamo un’Europa delle città molto prima di essere un’Europa di Stati nazionali. La crescente integrazione, collaborazione, sinergia tra città è stata dapprima caratterizzata dal forte pragmatismo, ovvero dalla necessità di sviluppare e condividere prassi e modalità di gestione dei problemi dei cittadini, in modo che le migliori pratiche potessero essere condivise, valorizzando i progetti e i cambiamenti più efficaci. Ma negli ultimissimi anni si è andati oltre: ha iniziato a radicarsi, infatti, una visione più condivisa del ruolo delle città, quali federatrici di vere e proprie concezioni del mondo, di modi di interpretare la modernità, di una nuova “cultura”, proponendo così un nuovo modello basato su una concezione policentrica e diffusa del potere. Le città sono concepite come loci basilari per l’organizzazione della vita sociale, economica, culturale e politica di una società: cellule attive di uno stato sociale basato sul territorio.

Un municipalismo addirittura globale può permettere di affrontare le giganti sfide politiche dei prossimi decenni. Un esempio concreto e tremendamente attuale è sicuramente quello della rete delle C40 Cities – Climate Leadership Group. Una rete globale di grandi città che operano per sviluppare e implementare politiche e programmi volti alla riduzione dell’emissione di gas serra e dei rischi ambientali causati dai cambiamenti climatici, con sede a Londra e che ora conta la partecipazione di oltre 100 città. Le stime delle Nazioni Unite segnalano che le città andranno a inglobare quasi il 70% della popolazione mondiale nel 2050 e questo è ciò che richiedono anche i più giovani, che se prima sentivano il proprio futuro inevitabilmente legato a quello della propria nazione, oggi invece, lo percepiscono come legato al luogo a essi più vicino, ovvero la loro città. I giovani, infatti, scelgono il Comune di cui diventare liberamente cittadini, sposandone l’anima e abbracciandone il destino, anche in base alla fase della vita e le rispettive priorità ed esigenze che stanno vivendo. Per questo è il momento della storia giusto per valorizzare finalmente il ruolo istituzionale delle città con le sue aree urbane e proporre un’Europa più forte: l’Europa dei Comuni.