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Il Capitale umano come asset aziendale

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Il Capitale umano come asset aziendale

Lo scorso 14 gennaio il Corriere della Sera, in un articolo a firma di Mario Sensini, ha riportato in una tabella il confronto del reddito su base 100 con le relative tassazioni tra Italia, Spagna e con la Media Europea (fonte Confindustria).
Come si evince dal grafico, i contributi a carico del datore di lavoro, In Italia, sono superiori del 60% rispetto alla Media Europea mentre se escludessimo questa quota dal totale, i valori (retribuzione netta + Irpef + contributi a solo carico dei lavoratori) sarebbero in linea con la media.
Ovviamente ne consegue una minore competitività di base per le aziende italiane sul mercato europeo in terimi di costo del lavoro.
Eppure sul tema della competitività, negli ultimi anni sono state introdotte dal Legislatore una serie di misure di sostegno in favore delle aziende italiane: credito di imposta sulla R&S, credito di imposta sulla pubblicità, incentivi alla digitalizzazione, super ammortamento, per citare solo alcuni dei principali interventi.
Si è intervenuto su quelli che vengono considerati i più comuni drivers dello sviluppo aziendale ma si è tenuto assolutamente in minore considerazione l’asset a mio avviso più importante: il capitale umano.
Con il termine capitale umano intendiamo tutto l’insieme di conoscenze, competenze, emozioni, acquisite durante la vita da un individuo; è un asset che accresce il proprio valore anno dopo anno, esperienza dopo esperienza, studio dopo studio. Deve essere “coltivato” partendo dall’istruzione dei giovani, allineandola alle mutate e mutevoli esigenze del mondo del lavoro, un mondo in cui le tecnologie cambiano e si evolvono rapidamente, e spesso il gap tra aziende viene colmato proprio grazie alla competenza delle risorse umane.
In tal senso mi trova assolutamente d’accordo e faccio mia una proposta avanzata da U.C.I.D. (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti) nei mesi scorsi: rendere tangibile ed evidenziato in bilancio il capitale umano. Ciò potrebbe avvenire attraverso una procedura di “oggettivazione” e valorizzazione del capitale intellettuale presente in azienda.

Gli effetti positivi sarebbero diversi:
1) maggiore patrimonializzazione delle aziende, con benefici anche in termini di accesso alle fonti di finanziamento e, dunque maggiore competitività;
2) incremento dell’occupazione, derivante dalla possibilità di spostare parte del costo del lavoro (e qui torniamo al grafico) a patrimonio;
3) aumento delle competenze aziendali e, di nuovo, della competitività;
4) neutralità fiscale (non sono richiesti interventi diretti da parte dello stato).
Sono convinto che in un momento come quello che stiamo vivendo, caratterizzato da incertezze, da cambiamenti repentini, da crisi economiche, sociali e politiche, si possa ripartire anche e soprattutto grazie al capitale umano di qualità, colonna portante di ogni azienda.
Del resto già nel V secolo Protagora affermava: “l’uomo è misura di tutte le cose”.