Il male cronico che ha condannato una classe politica alla mediocrità e l’Italia alla conservazione e all’immobilismo, più del vuoto cosmico di visione, più del rifiuto di guardare oltre il proprio naso e di opporsi ad un presentismo che ha fatto da concime al populismo, più della sondaggite e della paura di sognare, è riconducibile ad una faccenda molto banale.
Ad un certo punto, nel momento esatto di una crisi della politica senza precedenti, una certa modalità del linguaggio ha infettato buona parte della classe dirigente e la risposta degli anticorpi non è stata in grado di fare quel mestiere che in genere fa. Né un vaccino pare sia stato ancora trovato.
Il virus ha avuto vita facile e si è passati, nel giro di una quarantena, da una politica del dover e del poter fare, alla politica del “vorrei ma non posso” che, d’ora in poi, per convenzione chiameremo: “attenti a non fare un regalo ai populisti”.
Un esempio così ci capiamo: lo Ius Culturae. Se n’è parlato tanto, si tratta di un principio così banale, di banale e minima civiltà, che purtroppo in Italia ha dovuto far i conti con quella classe politica infettata dal “vorrei ma non posso” e che ha prontamente risposto a un principio di civiltà con la solita tiritera “attenti a non fare un regalo ai populisti”.
Cosicché, giorno dopo giorno, ogni idea coraggiosa, scelta politica giusta, ha dovuto sottoporsi alla domanda delle domande, ad una sorta di test psico-attitudinale, alla prova decisiva dell’opinione pubblica al vaglio del comitato centrale preposto a valutare se quell’idea avesse potuto fare un favore ai populisti o no. Un vero e proprio tampone a quelle nuove idee che avrebbero potuto cambiare l’Italia.
Il virus di strada ne ha fatta tanta ma non sempre ha centrato l’obiettivo. Proprio in questi giorni ricorre il novantesimo compleanno di Marco Pannella. Quel “vorrei ma non posso” non lo ha mai sfiorato, il virus si è tenuto alla larga da lui. E oggi le sue battaglie sui diritti civili, su una giustizia giusta sono quel vaccino che c’è e che nessuno sperimenta nonostante abbia consentito grandi cambiamenti, grandi conquiste sociali. Ma siamo a oggi.
Ed è proprio di oggi la notizia dell’ennesimo contagio. Positivo al “vorrei ma non posso” è risultato tal Carlo Sibilia, sottosegretario M5S agli Interni del Conte Due. Ha detto: “Lo voglio dire in maniera chiara, chi propone una sanatoria oggi fa un favore a Salvini”, commentando così la proposta del ministro per le politiche agricole, Teresa Bellanova, di regolarizzare i lavoratori migranti nel settore agricolo.
Ecco, ci risiamo. Torniamo sempre alla solita tiritera del «non facciamo un favore ai populisti» che è stato ed è l’errore più ricorrente e più drammatico della politica riformista degli ultimi tempi, la migliore spalla del populismo.
E allora, mi piacerebbe spiegare a Sibilia che è proprio questa strategia che fa vincere la linea dei populisti: insomma, per non far vincere Salvini, si fa vincere Salvini. Una follia. È successo e continua a succedere con la gente disperata in mare, con gli schiavi a raccogliere pomodori, con lo Ius Soli. Sono tutte vittime dei populisti, di chi li rincorre e di chi dice “non facciamo un regalo” a tizio o a caio.
Spero che la proposta di Teresa Bellanova diventi legge. Sarebbe la risposta più efficace al virus e a chi come Sibilia, proprio per non favore un favore a Salvini, glielo sta facendo. Perché per inseguire i populisti, o peggio, per paura di perdere i voti, non fa una cosa giusta. Non fa politica, quella con la P maiuscola, quella che non guarda i sondaggi ma volge lo sguardo ai diritti e al lavoro.
Quella di Teresa Bellanova è la politica, quella che ha coraggio, che è distante anni luce dal populismo e dalle paure. È il solo vaccino al “vorrei ma non posso”. E deve essere subito sperimentato per uscire dalla pandemia populista.
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