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Insegnare la filosofia del femminismo al liceo si può. E si deve

Insegnante, giornalista e scrittore
Insegnare la filosofia del femminismo al liceo si può. E si deve
La più recente edizione italiana del saggio più famoso di Ngozi Adichie

Da quando ho il piacere di lavorare come insegnante di Storia e Filosofia per i licei pubblici italiani o per le scuole internazionali, ho dovuto tristemente confermare un’impressione che mi ero già fatto da semplice studente liceale: il programma di Filosofia del triennio del liceo è atrocemente maschilista. E lo è da sempre, e il problema non è solo del nostro MIUR, per una volta.

Da Talete a Emanuele Severino, il nome delle pensatrici incluse nei manuali più progressisti e avanzati si conta sulla punta delle dita di una sola mano: Ipazia, Mary Wollstonecraft, Simone De Beauvoir, Hannah Arendt, Simone Weil e stop. Non vengono nemmeno citate personaggi del calibro di Harriet Taylor Mill, Martha Nussbaum, Julia Kristeva, Judith Butler. Figurarsi se osassimo spingerci nel campo delle filosofe non europee e – dio non voglia! – non bianche: è questo il caso di Chimamanda Ngozi Adichie, autrice nigeriana di etnia Igbo, classe 1977, nata a Enugu e laureatasi a Yale e alla Johns Hopkins University, ormai pluri-premiata in tutto il mondo per i suoi seminali testi sul femminismo, sulla parità di genere, sul razzismo e anche per la sua produzione letteraria di notevole spessore.

Ecco perché sin da quando insegnavo al liceo scientifico di Magliano Sabina ho deciso di inserire un paio dei suoi testi più semplici e brevi all’inizio del programma di ogni quinto anno di Filosofia che mi viene assegnato. La reazione dei miei studenti – e soprattutto delle mie studentesse, ma devo dire anche dei genitori – è sempre di estremo interesse quando spiego loro perché partiamo con un’autrice colpevolmente non compresa dai loro enormi libroni di testo.

Studiare il pensiero di un’autrice contemporanea vivente può far alzare un sopracciglio da parte dei miei colleghi (e, ahimé, delle mie colleghe) più tradizionali. L’effetto maturità alla “Ecce Bombo” è sempre in agguato. Eppure, spiegare a dei 18-19enni che la Filosofia non riguarda solo temi che all’inizio del triennio appaiono alla maggior parte di loro come astratti e astrusi, ma tratta anche di comportamenti socio-culturali ed etico-morali che li investono in prima persona, che li interrogano in quanto giovani uomini e donne all’interno di una società sempre più globalizzata e in divenire, è secondo me davvero importante.

Ngozi Adichie mi dà la possibilità di discutere in classe su comportamenti che fanno parte della tradizione culturale non solo italiana. L’idea che un uomo debba sempre pagare la cena o il pasto alla donna che corteggia. L’idea che debba sempre “cavallerescamente” lasciarle il passo, a meno che si entri in locali pubblici dove subentra l’indole dell’uomo protettore dinanzi all’ambiente non conosciuto. L’idea che un cameriere (o una cameriera!) che porti il conto a un tavolo dove c’è una coppia lui-lei debba sempre porgere – come segno di rispetto e di galanteria – lo scontrino al maschio, e mai alla femmina. L’idea che la donna sia la regina della casa: che lei debba cucinare, lei debba fare le pulizie di casa, stendere i panni, caricare la lavapiatti o lavarli a mano, rinunciare alla propria eventuale carriera in nome dell’accudimento della prole. L’idea che sia normale ipotizzare che la donna segua il suo uomo nel caso in cui lui abbia un’occasione lavorativa in altra città, mentre il vice-versa viene visto un po’ come una sorta di blasfemia. L’idea che se si affitta un’automobile, la patente e la carta di credito da tirare fuori sia sempre quella dell’uomo: naturale guida, naturale finanziatore. L’idea che dopo il matrimonio sia sempre la donna che debba cambiare il suo cognome: non metterlo al fianco di quello dell’uomo, proprio cambiare il proprio. Immaginatevi la reazione se si chiedesse a un uomo di togliersi il cognome e assumere, da sposato, quello di sua moglie.

La prima edizione italiana del testo di Ngozi Adichie

Chimamanda Ngozi Adichie affronta questi stereotipi di genere e molti altri. Lo fa con il dono della chiarezza e della sinteticità soprattutto in due opere degli anni Dieci, ormai tradotte anche in italiano: Dovremmo essere tutti femministi (Einaudi, 2015, 44 pagine, 9€) e Cara Ijeawele. Ovvero quindici consigli per crescere una bambina femminista (Einaudi, 2017, 88 pagine, 15€). I due testi sono particolarmente adatti agli adolescenti del V anno del liceo. Intanto perché nella loro sinteticità possono essere letti in modo integrale, un metodo di studio che suggerisco sempre ai miei studenti per uscire dall’effetto Luna Park che ogni libro scolastico di Storia della filosofia dà. Poi perché qualunque tema alzi Ngozi Adichie ha un effetto splendido nello sprigionare il dibattito fra gli studenti anche nella classe meno portata verso la riflessione filosofica. Infine perché Ngozi Adichie non è “solo” pensiero femminista, ma è anche un’intellettuale africana, che educa la media donna bianca occidentale (figurarsi il medio uomo bianco) al pensiero della differenza di genere ed etnico. Ecco che termini anglosassoni per i quali è perfino difficile trovare una traduzione, come “entitlement” (forse traducibile con l’espressione “pretesa di un privilegio”), entrano nell’aula di liceo e sono dibattuti dai nostri studenti, che sono sempre di più non solo bianchi e cattolici, com’era nel libro Cuore.

Io mi aiuto anche con un famoso video di Ngozi Adichie, in occasione di un suo TED talk in cui, sostanziamente, ha presentato proprio il saggio Dovremmo essere tutti femministi. La presentazione è in lingua inglese, ma su YouTube c’è una versione con i sottotitoli in italiano. Assolutamente imperdibile per ogni prof di Filosofia che voglia suscitare un dibattito fra i propri maturandi.

Cara Ijeawele è invece una sorta di lettera aperta in cui Ngozi Adichie risponde alla sua amica Ijeawele che le chiede come può crescere sua figlia Chizalum Adaora come una bimba femminista. L’autrice, in 15 rapidissime “lezioni”, si azzarda a dare dei consigli che probabilmente sono più semplici da scrivere che non da attuare. Eppure da qualche parte occorre cominciare. Fra i suggerimenti più notevoli, “Guardati dai pericoli di quello che chiamo ‘Femminismo Light'”, “Insegnale a bandire l’ansia di compiacere”, “Parlale del sesso, e comincia presto”, “Insegnale la differenza”. Ce ne sarebbe abbastanza per ridisegnare non solo il programma di Filosofia, ma anche le materie delle scuole secondarie, includendo un corso di educazione alla sessualità che comprendesse anche un’educazione alla differenza e alle differenze di genere. Roba da XXI secolo, che prima o poi dovrà entrare anche nella Scuola pubblica italiana.

* Questo articolo è stato pubblicato dall’autore per la prima volta sul sito de l’Espresso, il 15 febbraio 2020. Poiché in quel portale non è più disponibile, lo ripubblichiamo qui.