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La retorica e la realtà

La retorica e la realtà

In perenne conflitto tra di loro, dove spesso la prima prevale sulla seconda dentro un campo da gioco senza regole e senza precedenti, con la debolezza delle classi dirigenti e del pensiero politico, con l’affanno e la ricorsa alla banalizzazione (di nuovi “mali”) sembrava tutto definitivamente irrecuperabile .

La realtà presenta il conto alla retorica. Non ce l’avremmo fatta in tempi ordinari. Almeno non subito. Ma ora cambia tutto e nel gigantesco, storico e drammatico problema che viviamo, risiede la soluzione.

Il “popolo di Barabba” può essere definitivamente sconfitto. Se ne fa carico la realtà, al vissuto non puoi più raccontare che hai abolito la povertà su un balcone, al vissuto non ce la fai più a narrare l’efficienza del sistema sanitario e delle classi dirigenti del nord di fronte ad un virus che ti ha messo in ginocchio, non ci riesci a pretendere che ti seguano o capiscano, se durante l’emergenza più grande dal dopoguerra, le stesse Regioni che pretendevano più autonomia, in atteggiamenti schizofrenici, da aprire tutto a chiudere tutto a riaprire tutto, sarebbero implose se fossero state lasciate sole alla loro “autonomia”, se non ci fosse lo Stato.

Nel tempo della realtà, mai come ora, si coglie drammaticamente che la dimensione nazionale di ciò che ci investe mostra la necessità di superare l’attuale ordinamento regionale. I problemi sono più grandi dei confini delle singole regioni, che vanno superate con macro regioni funzionali, quali enti di programmazione di area vasta e strategica. Lo Stato troni a fare lo Stato ed il progetto del Ministro Boccia, inizialmente fulminato sulle vie leghiste, sulle autonomie differenziate, torni nel cassetto.

Nel caos della emergenza, nella babele del contrasto tra i poteri dello Stato e delle Regioni, nello spettacolo non edificante del pluralismo regionale sanitario, nelle ordinanze che si contrappongono fino alle aule dei TAR, nella assenza della regia unica, emerge con tutta la sua drammatica evidenza l’aver mancato l’appuntamento con la storia, ma la storia , o la realtà, presenta il conto. Aveva ragione Renzi, ma era antipatico. Antipatia, nel tempo della retorica, elevata a categoria politica.

Tutti contro uno, nel tempo della retorica della “Costituzione più bella del mondo”, alla fine è diventato tutti contro se stessi, nel tempo della realtà. L’ironia della sorte, perché di questo si tratta, ha voluto che il Ministero della Salute, nei tempi dell’emergenza, impossibilitato a governare la risposta unitaria nazionale sia guidato proprio da chi brindava, in un “corridoio con le mucche”, la vittoria dei No al referendum. Esito che ha reso evanescente la funzione del Ministero della Salute. Anche di questo risponderanno tutti, a partire dagli scomparsi costituzionalisti militanti del no, che insieme ai conservatori di destra e di sinistra, hanno fatto saltare l’ultimo tentativo di riforma dello Stato, della sua capacità di agire, per consentire alla rappresentanza il diritto alla decisione ed il dovere alla assunzione della responsabilità.

La realtà, il vissuto, può battere definitivamente i “macellai” delle parole che hanno consumato nel linguaggio da social ogni peggiore intento confuso, accettato, sopportato e supportato anche da parte della girevole, come le porte, “intellighenzia” nostrana, come una novità, addirittura come la cura. Solo nel tempo della retorica compulsiva, del “popolo di Barabba” è stato possibile scambiare Salvini come uno statista, la Meloni come una risorsa del Paese, o i “manganellari” della rete, alla Di Battista, come classe dirigente, un profilo come la Raggi addirittura idonea ad essere sindaco della Capitale del Paese. Era la nuova normalizzazione intervenuta: la “democrazia della finzione” in una sorta di “Repubblica fondata sul caso”.

La rincorsa alla retorica del nemico da individuare per legittimare la propria esistenza in vita, dall’Europa agli gli stranieri, all’avversario politico di turno, magicamente viene superata da un vero nemico, che incute vera paura, che colpisce i due binari su cui si fonda la serenità di un popolo, di una nazione: la salute e l’economia. E la drammatizzazione della invasione da parte degli immigrati ? Non solo è scomparsa, ma nel tempo della realtà cresce l’appello alla loro regolarizzazione perché non ci sono italiani (almeno una parte, neanche quelli che percepiscono il reddito di cittadinanza) che per “prima” vogliono andare sui campi. Altro che prima gli italiani.

C’è un dopo, forse c’è già e dobbiamo occuparcene. L’involuzione della prassi democratica in atto, perché di questo si tratta, per alcuni versi fin troppo perpetuata rischia di generare un sonno collettivo capace di cambiare la “ragione” al nostro risveglio.

E’ accaduto, accade, si ripropone in forme e con effetti diversi, ma la pretesa dell’accentramento della decisione, che fa rima con l’idea del salvatore della Patria, sopportata e per certi versi condivisa nasce anche da buone intenzioni, le stesse che lastricano la via dell’inferno, in nome della prevalente ragione di Stato.

Nessun parallelismo, nessun accostamento, nessuna semplificazione con i “passati”. No. Esattamente il contrario. Ci troviamo di fronte ad un fatto inedito nella storia della umanità globalizzata non dalla finanza o dai mercati, dai generi di consumo o dalla moda, ma da un invisibile sfida comune, la resistenza delle democrazie liberali .

Ci troviamo di fronte alla sospensione della regola democratica, alla sua sostituzione, al rischio di renderla “infantile” di fronte alla complessità, addirittura neutrale, verbalizzante, in una sorta di democrazia da presa d’atto. Attenzione ciò accade esattamente in un tempo, tra l’altro, di gravissima e taciuta epurazione dal dibattito televisivo, a partire da alcuni Tg Rai, di forze e rappresentanti politici, in una sorta di patto volto ad escludere persone e pensieri.

In una delle più drammatiche notti della Repubblica il Presidente Conte si rivolge alla nazione scegliendo deliberatamente la piattaforma facebook, perché è lì, non dentro i confini delle Istituzioni, che si salda il rapporto diretto tra capo e popolo.

Lo paventava Dossetti quando metteva in guardia dal rischio dell’impulso per una democrazia populista: “Invece di una democrazia rappresentativa (parlamentare) con le sue procedure dialogiche, si avrebbe una democrazia populista, inevitabilmente influenzata da grandi campagne mediatiche, senza razionalità e appellantesi soprattutto a mozioni istintive e a impulsi emotivi, che trasformeranno i referendum in plebisciti e praticamente ridurranno il consenso del popolo sovrano a un mero applauso al Sovrano del popolo”.

Ha ragione il presidente Conte quando sostiene che la storia si incaricherà di giudicare. Ci chiederanno conto le future generazioni e ci giudicheranno soprattutto sulla tenuta, sulla custodia delle democrazie liberali nel tempo della loro invisibile aggressione.

Alla domanda, che cosa accade dopo, la domanda etica, finale, si risponde da ora, subito. Le democrazie liberali sono in grado di governare momenti eccezionali della vita collettiva ? Se la risposta sarà no, il rischio concreto è che possano avanzare, non solo in Italia, l’idea della necessità di altro.

La risposta al dopo della guerra delle armi e delle nazioni fu la democrazia parlamentare e l’Europa. Quale sarà la risposta al dopo della attuale “guerra” invisibile ? Più democrazia parlamentare, più Europa, o il suo contrario ?

Il dibattito che si è aperto sul Mes, con il suo carico di bufale, il voto espresso in Europa ridisegna i confini delle forze politiche, di qua o di là, verità contro mistificazione, retorica contro realtà. E non è un caso se la destra sovranista è tutta collocata da una parte, con l’incredibile, ingiustificato posizionamento, ancora una volta, inconsapevole della propria responsabilità al governo del Paese, da parte dei 5 Stelle. Il fatto che il Pd non abbia ceduto è una buona notizia.

In questo passaggio, per importanza storica, pari al dopo guerra, l’Italia deve scegliere da che parte stare. Il 18 Aprile del 1948 la vittoria della DC cambiò la nostra storia conducendoci dentro il solco della democrazia, del patto atlantico, dell’Europa, della pace, della crescita economica.

Nessun ricatto morale, secondo cui ogni critica in questo momento è fuori luogo, può trasformarci tutti nel nel “Ponzio Pilato” della storia che preferì lavarsene le mani. Pochi hanno il coraggio di rompere il velo della ipocrisia che ci circonda. Piaccia o meno, ma Renzi rimane l’unico, spero non l’ultimo, che non si arrende a rinunciare al dibattito pubblico, alle idee. Aveva ragione sul referendum, ma sappiamo come è andata a finire, oggi tocchiamo con mano le conseguenze. In quale altro Paese accade che un leader ponga anticipatamente un tema, come quello delle riaperture, perché prefigura un dramma economico, venga immediatamente massacrato con tanti no governativi, additato come irresponsabile, e qualche giorno dopo lo stesso governo costituisce una task force sulle riaperture ?

I DPCM assunti, conseguenti di decreti non ancora tutti convertiti, per lo più giustificabili dentro l’esigenza del contrasto alla diffusione del virus, non possono essere la prassi da seguire nel quadro della definizione della fase 2. Nessuna task force può sostituire la democrazia parlamentare, e se l’Italia riparta e come lo decide il Parlamento, se l’Italia rinuncia o meno al Mes senza condizioni lo decide il Parlamento. Aggiungo, la decisione che la scuola non riapra, comunicata tra righe di dichiarazioni, al di là che si possa essere d’accordo o meno, senza alcun minimo confronto parlamentare, rappresenta una ulteriore involuzione inaccettabile.

Ciò che non può essere consentito è nuova retorica sulla Fase 2. Ci si gioca il futuro dell’Italia, di milioni di italiani, dei nostri figli, il Parlamento ora torni sovrano, o rischia di non esserlo più.