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Le donne, i soldi e la violenza economica

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Quando si parla di violenza sulle donne, l’aspetto economico sembra sia marginale. Invece è decisamente centrale. Se le donne non sono indipendenti economicamente, non sono libere di lasciare un compagno violento. Secondo una ricerca che risale al 2019, una donna su tre in Italia non possiede un conto corrente (Episteme). Questo significa che si ritrova costretta ad avere una “paghetta” da un’altra persona, presumibilmente dal proprio compagno. A questo dato si aggiunge un’altra emergenza. Troppe donne in Italia non hanno un’occupazione fuori di casa. Quelle che lavorano sono 9,5 milioni contro 13 milioni di uomini, inoltre sono quasi 45.000 le donne che hanno lasciato il lavoro dopo la maternità. E quest’ultimo numero è in continuo incremento.

Per avere un quadro completo del fenomeno, bisogna anche prendere in considerazione gli aspetti culturali. Una mentalità tanto retrograda quanto diffusa vuole che le donne siano meno brave e adatte degli uomini a gestire i soldi e gli investimenti familiari. Per PRIMOPIANOSCALAc di Telos A&S, abbiamo affrontato questo argomento con Mario Baccini, politico di lungo corso, e attualmente Sindaco di Fiumicino.

Baccini ha creato l’Ente Nazionale per il Microcredito, il cui compito è aiutare le microimprese e le categorie sociali svantaggiate ad accedere al credito. Tra i vari progetti dell’Ente, Baccini cita con orgoglio quello del Microcredito di Libertà, che “cerca di sostenere una politica di emancipazione dalla violenza economica. Questo particolare strumento finanziario, garantito al cento per cento dallo Stato, mette a disposizione di donne che hanno terminato il loro percorso nei centri antiviolenza una possibilità per riemergere e superare l’ultimo miglio verso una nuova vita, rimettendosi in gioco”.

Fino a poco tempo fa, la violenza economica non era chiamata neanche “violenza”. Il fatto che una donna dovesse chiedere i soldi al suo compagno sembrava fosse solo una scelta organizzativa all’interno della coppia, e non sembrava contenere in sé il rischio di un’emergenza sociale. Oggi, almeno, abbiamo fatto un passo avanti: dare il nome ai fenomeni è un modo per riconoscerli, catalogarli e cominciare ad affrontarli.

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