È pazzesco ma, se si entra oggi in un’aula della facoltà di ingegneria, le ragazze sono ancora una minoranza. Se non fosse per le felpe e gli smartphone, sembrerebbe di essere finiti sul set di un film ambientato un secolo fa. Una ricerca di Ipsos per Save the Children del 2022 fa emergere una contraddizione: il 54% delle ragazze liceali dichiara di amare la scienza ma, da quanto ci dicono le immatricolazioni del 2021, solo il 22% di loro sceglie di studiare materie scientifiche all’università. Un dato che stride con un altro che trovo sempre drammatico: nel nostro Paese, su dieci lavoratori, solo quattro sono donne! E il punto esclamativo non è casuale.
Perché le giovani portate per gli studi scientifici, nel momento di decidere, virano su scelte diverse? Sembra che la ragione sia semplicemente culturale. Gli stereotipi di genere allontanano le ragazze da questo tipo di percorsi, che potrebbero invece dare una spallata alla disoccupazione femminile. Amo le materie umanistiche e io stessa provengo da quegli studi, tuttavia non c’è dubbio che ingegneria offra maggiori possibilità di trovare un lavoro di storia dell’arte. Con il patrimonio culturale che abbiamo in Italia è una deprimente verità, ma è così.
Per la rivista di Telos A&S PRIMOPIANOSCALAc, abbiamo parlato di donne e STEM (acronimo che sta per Science, Technology, Engineering and Mathematics) con Elisa Molinari, Professoressa di Fisica della Materia nel Dipartimento di Scienze Fisiche, Informatiche e Matematiche dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Secondo la professoressa Molinari, sarebbe necessaria una scossa per accelerare l’incontro ravvicinato del terzo tipo tra ragazze e STEM, con iniziative concrete come “premiare in maniera consistente gli istituti, i dipartimenti e le imprese che dimostrano sforzi concreti e ottengono risultati nel contrastare il divario di genere, sia all’ingresso sia nel progredire delle carriere: altrimenti per chiudere la forbice ci vorranno cent’anni! E poi bisogna investire nel lavoro con le scuole e gli insegnanti, e in azioni coordinate con le università e gli enti di ricerca. Solo così costruiamo progetti che appassionino le ragazze, e mobilitiamo le forze migliori per realizzarli. È paradossale che ancora oggi queste azioni siano spesso previste con costo, supporto e riconoscimento quasi nullo, e grande fatica per chi le fa”. Ecco, non aspettiamo cent’anni.
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