Quelle di queste ore (pensando a parte della Toscana e del Veneto o a mezza Milano sott’acqua per il Seveso) sono simultaneamente immagini già viste e scene che però dimenticheremo con la stessa facilità con cui le stiamo osservando in tv e sui social Muovendoci come criceti ma senza spostarci di un centimetro, ci troviamo a concentrare le nostre preoccupazioni sull’emergenza presente, trascurando sistematicamente le lezioni del passato e disinteressandoci palesemente del futuro. E’ necessario ribadire con fermezza che il problema non risiede solamente a fenomeni di maltempo ai quali diamo nomi suggestivi ( da #scipione a #circe passando per #ciaran,) ma piuttosto nell’atteggiamento colpevole protrattosi per decenni, di un sistema disfunzionale che ha trasformato forse irrimediabilmente la geografia del pianeta e avrebbe da tempo imposto un cambio di paradigma.
Culpa lata, dolo proxima: l’aver sfidato in modo scriteriato la logica dei corsi d’acqua attraverso abusi edilizi, una gestione altamente negligente con l’aggravante negli anni di condoni rilasciati a vari livelli, oltre a reciproche accuse tra amministrazioni locali e governi regionali e centrali, ci consegna un modo “doloso” di amministrare un problema quale il dissesto idrogeologico causa di perdite di vite e di danni ingenti per beni materiali e immobili.
Come dice il Prof. Michael E. Mann, un’autorità nel campo del cambiamento climatico: “Il nostro pianeta sta rispondendo alle nostre azioni, ed è essenziale che impariamo a proteggerlo. Il futuro dipende dalla nostra capacità di agire oggi.”
Quanto tempo dovremo aspettare prima che si chiuda questo ciclo? Dovremo aspettare la prossima tempesta?
In questo circolo vizioso, ciascuno di noi condivide una quota di responsabilità: le tempeste semi-tropicali – poi – non si curano delle debolezze del nostro sistema, colpendo indistintamente senza distinzioni politiche o bandiere. Questi eventi estremi trascinano con sé persone, veicoli, abitazioni e alberi, obbedendo soltanto a una logica naturale che riafferma i propri spazi. Un fiume o un torrente o un costone di montagna non fanno altro che riprendersi i propri spazi amputati da un consumo selvaggio. Questo dovrebbe essere sufficiente a farci riflettere sulla necessità di una lotta unitaria, volta alla prevenzione e alla gestione urbana e infrastrutturale del territorio, senza rischiare di coprire con il fango anche il poco di bene che costruiamo con il nostro impegno quotidiano se pensiamo a quelle porzioni d’Italia che proprio nel territorio (agricoltura, pesca, consorzi etc.) trovano la loro ragion d’essere e costruiscono la loro presenza “eccellente” in tutto il mondo.
Bisogna non dimenticare il valore educativo di questa riflessione: se tali eventi eccezionali non riescono a scuotere in noi un senso di cittadinanza attiva, che successivamente richiede responsabilità politica a tutti i livelli, per sviluppare politiche di tutela e cura dell’ambiente senza concessioni parziali o totali, allora correremo il rischio di seppellire non solo i nostri fiumi e torrenti, ma anche il senso civico del bene comune.
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