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Milano Real Estate

© (c) 2021 Giordano Di Fiore, diritti riservati
© (c) 2021 Giordano Di Fiore, diritti riservati

Milano Real Estate: è questa la storia che vi voglio raccontare.

E’ passato un lunghissimo anno, da quelle prime interviste, dalle idee un po’ seminali sulla metropoli post-pandemia, dal clima di fiducia che, tutto sommato, aveva permeato l’estate 2020.

Come sappiamo, le cose sono andate un po’ diversamente. E le elezioni amministrative, previste per la scorsa primavera, sono state posticipate.

In questi giorni, i numerosi schieramenti e raggruppamenti stanno finalizzando, presentando tutte le candidature e chiudendo le liste.

Il centro-destra, a quanto pare, gioca a tirarsi fuori da solo, presentando un sindaco pistolero con pochissime idee. E Sala sembra prepararsi ad una grande volée (nonostante i sondaggi, in verità, dicano cose diverse).

La campagna di Sala non presenta particolari novità: è in totale continuità con l’attuale gestione. Tutto questo potrebbe non essere un’ottima notizia.

La Milano di Sala è quella di Expo, una città che va avanti come un treno, sacrificando la sua storica natura di città solidale, in funzione di una serie di target da raggiungere che, sostanzialmente, possono riassumersi nel consolidare e rafforzare una posizione di primo piano nella scala della competitività internazionale. Sotto molteplici profili: attrazione degli investimenti, incentivazione del turismo, compreso quello studentesco, con un notevole sforzo ad accrescere l’immagine delle nostre università.

Quello che un po’ stupisce è il tentato meccanismo di rimozione nei confronti del Covid, della pandemia che tanto ha gravato sulla nostra città.

In Melchiorre Gioia (e tante altre zone) si continua a costruire come se non ci fosse un domani, i progetti sugli scali ferroviari proseguono come se non fosse successo nulla, idem lo spostamento degli ospedali a città studi, in barba ad ogni considerazione relativa alla medicina territoriale. Città dei quindici minuti, ma non per i servizi essenziali?

E la città in corsa in un mondo che non corre più presenta il conto: i costi delle case, sia in affitto che in vendita, continuano inesorabilmente a crescere, soprattutto in periferia (l’esempio di Roserio su tutti), rendendo impossibile ai redditi medio-bassi la vita in città.

Come già denunciato in passato, social housing, parola molto in voga, che spesso si utilizza per giustificare alcune operazioni speculative “old school”, non equivale alla costruzione di edilizia popolare, pratica che si è interrotta negli anni ’80. Chi non ha i soldi, per essere chiari, non può comprarsi casa: che costi tanto, o che costi poco. E non può pagarsi nemmeno gli affitti calmierati.

Le case popolari sono una conquista del pensiero socialista, escogitata per dare una possibilità a coloro che, altrimenti, hanno come unica alternativa la panchina, il dormitorio, la comunità o, semplicemente, un’esistenza dedita esclusivamente al sacrificio ed alla sopravvivenza.

Oggi il parco case è insufficiente e mal messo, le pratiche di assegnazione troppo lunghe per un’offerta inesistente ed è, di fatto, l’illegalità a fare da padrone (in particolare ci riferiamo alla pessima gestione regionale di Aler, anche se MM ha tantissime lacune).

È chiaro che gli investimenti che discenderanno da grandi piani come il PNRR non potranno non prevedere di occuparsi del tema abitativo. Ed il Comune di Milano deve fare da volano. Perché la gestione dell’edilizia urbana non può continuare a perseguire soltanto logiche privatistiche: il Covid, ricordiamo, ha esacerbato le fragilità economiche, intaccando anche e soprattutto il ceto medio.

C’è poi il tema della Milano verde. Una città che si dota di piste ciclabili e monopattini, ma ricopre integralmente di cemento immense aree agricole come quelle di via Bernardino Verro, ad esempio, non è così green. Tutta la zona sud sta incontrando una enorme espansione edilizia, da Rogoredo, a Ripamonti, a Meda, fino alla Barona. Zone che un tempo erano oasi incontaminate come Chiaravalle iniziano ad essere accerchiate, il panorama è cambiato tantissimo: provare per credere. La zona est è stata già completamente divorata, le tracce agricole rimangono ormai solo nella memoria delle case e delle strade. A Nord tocca, tra poco, alla Bovisa. Ad Ovest, l’impronta agricola si è definitivamente chiusa con Expo.

Si diranno due cose: la riqualificazione degli scali è pensata per portare ampie zone verdi all’interno della città (San Cristoforo). E, inoltre, la città è in espansione: la crescita, dunque, è inevitabile.

Io dico che la questione scali è, ad oggi, una grossa spina nel fianco: aree “pubbliche” (Ferrovie), dunque “nostre”, su cui, oltre ai parchi, pur presenti nei progetti, si va a costruire tanto residenziale (libero o convenzionato): tanti soldini che girano e che non ricadono però sulle tasche dei cittadini. Perché, come si diceva sopra, non si pensa ad interventi di edilizia popolare, strutture ospedaliere e scolastiche pubbliche, ecc. Per fare un esempio banalissimo: oggi strutture come il Trotter potrebbero mai essere costruite dai nostri Comuni? La domanda è retorica: NO. I Comuni sono amministrati secondo logiche aziendaliste, che non prevedono interventi così importanti. Luoghi bellissimi, come la piscina di Via Zanoia, sarebbero, oggi, impensabili. Al suo posto avremmo visto solo palazzi.

E la città non è in espansione: sempre grazie al Covid, i numeri non sono più così galvanizzanti. Ma anche qualora riprendesse (ce lo auguriamo), Milano è una città (come tutte le grandi città) con migliaia di palazzi vuoti e abbandonati, anche pubblici. E’ molto più green un recupero edilizio che una finta ciclabile.

Anche operazioni routinarie, cui non facciamo più caso, come l’innalzamento delle volumetrie di tutte le case milanesi che abbiano qualche annetto alle spalle, non sono operazioni a costo zero da un punto di vista ambientale. Perché il riscaldamento urbano è un fenomeno da considerare seriamente. Come quello legato all’inquinamento luminoso, di cui non si parla mai, e che a Milano è aumentato a dismisura. Fatevi un giro a Berlino, se non cogliete il senso di queste parole.

Ci sono i progetti faraonici, come Piazzale Loreto. Si dice, è così brutta oggi che peggio di così non può andare. D’accordo.

Tuttavia, la logica sembra essere la seguente: c’è un “centro” che si allarga, aumentando i valori immobiliari e dunque il tenore delle persone che lo abitano. E c’è una periferia che si sposta, semplicemente, ma non migliora, mantenendo tutte le complessità.

Pensiamo a Via Porpora: è un viale pieno di contraddizioni. Ci sono numeri civici gestiti dall’illegalità, c’è una viabilità fortemente compromessa dal traffico, ci sono case popolari con tutte le loro difficoltà, c’è una forte presenza di prostituzione, ecc. Se il progetto Loreto sposta i confini del centro, le ricadute, prima o poi, si avranno anche su via Porpora, che aumenterà i suoi valori immobiliari anche agli ultimi numeri civici e si gentrificherà.

Ma i servizi rimarranno gli stessi e, soprattutto, il problema della povertà non verrà risolto, ma semplicemente spostato. Parigi è un esempio molto chiaro delle dinamiche che sta vivendo oggi Milano, con qualche anno di ritardo. La logica delle banlieue non è una logica inclusiva, e, sul lungo periodo, pensando in un’ottica di città metropolitana, peggiora la qualità di vita, perché proietta le difficoltà su tutte le periferie.

Città metropolitana è, peraltro, un’espressione totalmente vacua, vuota. Proprio per questo atteggiamento della città di Milano, tutto volto a guardarsi solo il proprio ombelico.

Per concludere, il Covid dovrebbe essere una preziosa occasione per ripensare a qualcosa che è stato totalmente dimenticato, in favore del real estate. Parlo dei servizi.

La città cresce quando crescono ospedali, scuole, centri di salute territoriale, palestre, piscine, biblioteche, centri di aggregazione e di occasione culturale. Non quando crescono esclusivamente i prezzi delle case.

Abbiamo citato Parigi: a fronte delle loro precipue difficoltà legate alle ex-colonie, è tuttavia una città che, negli anni, ha investito moltissimo su servizi e cultura. Non c’è un quartiere senza una piscina pubblica o una biblioteca. Passeggiando per Montparnasse, ci sono vie ancora ricchissime di cinema. I pochi cinema di Milano, tutti nel centro, sono ormai in estinzione. L’ultimo baluardo, l’Odeon, verrà frazionato e molte sale spariranno in favore dell’ennesima attività commerciale.

A Milano ci nutriamo solo di vestiti, che dire. Da noi, è’ impossibile investire in cultura, perché sono scelte troppo coraggiose che richiederebbero un aiuto pubblico importante (il contributo, sempre francese, agli artisti ne è un esempio classico). E quando, tra qualche anno, le grandi catene si daranno quasi totalmente all’e-commerce, ci troveremo una città culturalmente desertificata, senza cinema, teatri e luoghi per fare aggregazione.

E tutto questo si paga. Ha una ricaduta forte: pensiamo all’aggressività giovanile, così aumentata dalla pandemia. Pensiamo a quanto accaduto a San Siro, durante il video di Neima Ezza. Un quartiere popolare totalmente allo sbando, dove non c’è più una coscienza di classe, ma l’illegalità, amplificata dai social network, ha portato a delle orizzontalità in scontro: giovani contro vecchi, per esempio. Una dinamica che non ha alcun senso ed è pericolosissima, perché rischia di disgregare l’intero tessuto sociale.

Ci sono passato pochi giorni fa, a San Siro. Perché ci sono nato, e perché, banalmente, in via Ricciarelli c’è un buon ristorante indiano, e questo mi ha dato l’occasione di girare per Selinunte, Mar Jonio, Preneste, ecc.

Ho trovato delle vie sporchissime. Come se il servizio di nettezza urbana non vi passasse da giorni. Magari è stato un caso, ci ripasserò.

Ma non entriamo nella logica che, siccome sono delle aree degradate e mal abitate, allora si può anche chiudere un occhio, come se chi vive lì fosse una sorta di cavernicolo.

Più si trascura un’area trascurata, e più l’area stessa degrada: pertanto vale esattamente l’opposto. È proprio su quelle aree che i servizi dovrebbero essere maggiori, non minori.

Al contrario, assistiamo indomiti all’ennesimo rifacimento di piazza Lavater, mentre via Paravia affoga nell’immondizia. Secondo le logiche della nuova Milano Real Estate.