Quanto successo a Caivano ha sconvolto tutti. Un omicidio e un pestaggio di una ferocia assurda, come assurda la motivazione che ne sta alla base: il rifiuto della famiglia di Maria Paola Gaglione della relazione con un ragazzo trans.
E come se non bastasse questa assurda ferocia transfobica si è unita la miseria e il pressappochismo di un certo giornalismo mainstream che ha dato la notizia parlando di relazione gay, relazione lesbica, e parlando di Ciro come se fosse una donna e usando addirittura il dead name, Cira, facendo quello che in gergo si chiama “misgendering“, ossia la pratica transfobica di rivolgersi alle persone transgender con i pronomi volutamente sbagliati e in base al sesso assegnato alla nascita.
E se ci pensate bene questo è l’esatto punto di vista dell’assassino. Questi giornalisti ci hanno raccontato la tragedia guardandola con gli occhi dell’omicida, negando l’identità di genere di Ciro, considerandolo una donna e dunque presentandoci la vicenda come quella di una coppia lesbica.
In realtà quella fra una relazione etero. Fra una donna e un uomo. Punto. Come si può usare tanto pressapochismo e tanto sfacciato disprezzo per la vita e l’autodeterminazione delle persone?
Un’altra cosa che mi ha colpito è il coro dei finti egualitaristi, di quelli che “ma perché parlate dell’orientamento sessuale?” “ma che c’entra se lei è trans” o peggio ancora “sono fatti privati“.
Questa corsa a derubricare l’orientamento sessuale e l’identità di genere delle persone come fatti privati ricorda tanto il cavallo di battaglia degli omofobi che hanno sempre un sacco di amici gay ma “basta che lo facciano a casa loro“. Ho una brutta notizia per loro: no, non lo facciamo a casa nostra e no, non ci nascondiamo più. Esistiamo, siamo orgogliosi di ciò che siamo, voglio tutti i vostri diritti e lotteremo per averli. Bisogna che ve ne facciate una ragione.
Non sono gli eterosessuali a stabilire se il coming out è superato, non serve più, e tutte le altre belle amenità da orsetti del cuore che ci propinano ogni volta che qualcuno rende pubblico il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere.
E voglio essere ben chiaro: l’orientamento sessuale e l’identità di genere di una persona non è “un’etichetta“. Non sono etichette, è la nostra identità. Che sia orientamento sessuale o identità di genere. Non sono la marca del vestito che indossiamo, sono un aspetto fondamentale di ogni essere umano. Tutelato e protetto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Continuare a chiamarle etichette è disprezzarci, è insultare chi e cosa siamo. Vi è proprio così difficile da capire?
Il coming out oltre che ad essere una questione squisitamente personale (altrimenti è outing, ed è spregevole) è pure un atto profondamente politico, nel senso alto del termine, e sociale. E sarà necessario fintanto che esisteranno discriminazioni nei confronti delle persone LGBT+.
Il coming out è la pietra fondamentale sul quale poggia il concetto del Pride: lo esisto, io sono orgoglioso di quello che sono. Il contrario di coming out non è il rispetto a prescindere è, appunto, il “fatelo a casa vostra” se va bene o la violenza quando va male. Come quella di Caivano.
Vorrei solo ricordarvi che, mentre noi siamo qui a discutere con chi dice che il coming out è inutile e non dovrebbe fare notizia, che è un fatto privato, che ormai nessuno bada più a queste differenze o che peggio ancora è un “auto ghettizzarsi“, che alle porte d’Europa, in Cecenia, c’è un regime che per chi fa coming out ha previsto i campi di concentramento. Dove i cittadini LGBT vengono torturati ed uccisi solo perché LGBT. Dove le autorità locali per negare l’esistenza delle violenze e dei campi affermano che “In Cecenia non esistono omosessuali“. E che dire della Polonia di Duda dove 1/3 del paese si dichiara vergognosamente “LGBT Free” con la benedizione l’approvazione della Chiesa Cattolica Polacca che recentemente ha chiesto ufficialmente al governo polacco di istituire dei centri-lager per curare l’omosessualità?
In Italia invece, solo nel 2018, sono state 50 al giorno le segnalazioni di casi di omotransfobia (verbale e fisica).
Secondo voi in questo quadro è sensato dire che il coming out delle persone LGBT+ è inutile perché non interessa più a nessuno l’orientamento sessuale delle persone e perché “siamo tutte persone” (grazie eh)? Risposta: NO!
Il primo passo per combattere le discriminazioni non è certo quello di nascondere e negarsi. Non è facile. È una lotta quotidiana. Ma nessuno ci ha mai promesso la semplicità.
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