BLOG

Per una scuola che si prenda cura di tutti: anche degli eccellenti

Insegnante, giornalista e scrittore
Per una scuola che si prenda cura di tutti: anche degli eccellenti

“Buoni da 100 euro e viaggi all’estero gratis per gli studenti con la media del nove”. Recita così il richiamo sul profilo Instagram del Corriere della Sera, uscito pochi giorni fa. “E’ l’iniziativa di due scuole di Padova“, si continua a leggere nell’occhiello, “Un modo per incentivare i ragazzi a investire nel proprio futuro”. Sotto, una cascata di commenti, a centinaia, quasi tutti negativi. Chi si aspetta critiche riguardo al premio in denaro (che a mio parere è forse l’unico aspetto discutibile di questa iniziativa) rimarrà deluso. Quasi tutti ritengono sbagliato proprio il concetto di premiare gli studenti che ottengono una media del nove, per altro descritta da più di un utente come “un risultato impossibile”. Le maggiori preoccupazioni? Che questo instilli “competizione” fra gli studenti, alimenti “ansia”, spinga addirittura chi dovesse fallire la media alta “al suicidio” (!).

Ora: io sono uscito da studente dal liceo scientifico Avogadro di Roma nel 1993. Effettivamente, allora, la media del 9 in pagella era un UUFO, ossia un “oggetto non volante e non identificato”. Sui 1200 studenti di quell’anno, forse uno o due avevano raggiunto quella media, e qui vado a mia memoria personale. Ma oggi, parola di insegnante di Liceo Classico romano, le cose sono cambiate. Molti, fra noi docenti, usano anche il 10 in pagella per sottolineare l’eccellenza e io trovo questa pratica corretta, perché i voti sono pensati per i nostri studenti reali, non per un’idea astratta di studente superlativo.

Oggi, dunque, non si considera più il “10” come un voto esistente solo nell’iperuranio e il “9” come un voto rarerrimo, da assegnare una volta ogni anno bisestile. Tanto il “10” che il “9” si danno non più quando si pensa di essere dinanzi a un Umberto Eco adolescente, ma più banalmente quando i risultati e l’impegno di uno studente sono davvero rimarchevoli. Quando hai uno studente che non solo ti consegna dei compiti in classe perfetti, comprese le sezioni d’eccellenza più ardue, ma all’orale sa ragionare e produrre pensiero critico.

Quando riesce a coinvolgere il resto della classe durante le sue presentazioni. Quando fa sprizzare la sua personale passione per ciò che ha imparato e dimostra di aver avuto la voglia di approfondire il dibattito con letture personali, magari chieste a te che sei il suo prof. Per capirci: oggi, nei licei, la media del nove la ottengono uno-due studenti per classe. La conferma la si ha guardando ai voti di maturità del 2022, fornita dal Ministero dell’Istruzione:

  • il 4,1% degli studenti ha preso 60;
  • il 20,1% ha preso un voto tra 61 e 70;
  • il 27,0% ha preso un voto tra 71 e 80;
  • il 21,0% ha preso un voto tra 81 e 90;
  • il 15,0% ha preso un voto tra 91 e 99;
  • il 9,4% ha preso 100;
  • il 3,4% ha preso 100 e lode.

Sommando le due ultime voci, il 12,8% degli studenti ha ottenuto il massimo e, siccome il voto finale deriva anche dai crediti collezionati per le medie dell’ultimo triennio, se ne ha che grosso modo il 13% dei maturandi deve essere partito appunto da una media alta o altissima, dal “9” in su. Dunque: la media del nove non è più un risultato impossibile da raggiungere, nella scuola del 2023.

Veniamo ora alle altre critiche: premiare i migliori genererebbe ansia negli studenti. Ma, caspita, l’ansia è un sentimento umano. Come spiega la psicologa Angela Pellegrino nel suo sito, “ognuno dei sintomi dell’ansia, che tanto ci fanno stare male e che odiamo, ha un significato e un valore ben preciso, originariamente non solo non dannoso per l’essere umano, ma addirittura utile ed indispensabile alla sua sopravvivenza. L’ansia dunque è un’emozione innata, utile, fondamentale.”

In altre parole: l’ansia, nella vita, la incontreremo prima o poi tutti. Produce ansia innamorarsi di un’altra persona, e ne produce ancora di più innamorarsi senza venire corrisposti. Produce ansia un qualunque colloquio di lavoro. Produce ansia partecipare a un concorso pubblico. Produce ansia la preparazione a una competizione sportiva. Sposarsi o divorziare o restare incinta o avere un aborto o anche banalmente dover scegliere un regalo per qualcuno, o osservare una dieta, o andare dal dentista: sono tutte situazioni che generano ansia di vario tipo, di vario livello. Quindi l’ansia, nella vita, non è evitabile e meno male che è così. Una vita priva di ansia sarebbe un po’ come una vita senza passioni: una roba amorfa, attutita, una vita a metà.

Scopo della Scuola, dunque, non è evitare le ansie a tutti, ma insegnarti che quando si cade (in ansia), ci si può sempre rialzare. Come diceva un antico detto cinese: “Ciò che il fuoco non brucia, rinforza”. Eppure, leggendo i gruppi di Facebook dove scrivono genitori di studenti (di tutti i tipi: dai cosiddetti normodotati a quelli con disturbi dell’apprendimento) la parola d’ordine sembra essere quella che gli insegnanti non dovrebbero mai ingenerare ansia nei propri studenti. Perfino l’assegnare compiti per casa, che a ben guardare è per alcune materie un preciso dovere di un bravo insegnante, è preso di mira come sinonimo di incompetenza da parte di questi genitori-elicottero, sempre convinti di sapere di pedagogia e didattica più di chi queste materie le ha studiate.

Lasciamo poi perdere che i proff, dagli utenti di questi siti, sono spesso visti come una categoria tutta marcia; vi garantisco che esistono anche ottimi insegnanti in tutti i tipi di scuola, che fanno questo mestiere per passione e non come ultima spiaggia… Ma certo, il fatto che noi insegnanti una volta assunti diventiamo inamovibili e nessuno mai ci può valutare, non aiuta la categoria. Così per alcuni che lavorano male proprio perché non amano insegnare, il prestigio sociale della professione crolla per tutti.

L’ultima grande critica è quella che il premio a chi ha voti più alti alimenterebbe competizione fra gli studenti. Qui cito l’esperta in Disturbi dell’apprendimento Marilena Cremaschini che, sul suo sito, ricorda come l’etimo della parola “competizione” deriva da “competenza” e chiosa: “Non esiste competenza, intesa come il saper fare, che non si manifesti nella forma di una competizione, che è dunque, prima di tutto, una sfida con se stessi. Esistono due tipi di competizione: quella interiore, che ci spinge a fare sempre meglio, […] e quella esterna che coinvolge gli altri e ci mette a confronto col prossimo. Confrontarsi con gli altri è una buona cosa, non deve mai diventare però il fulcro centrale dell’esistenza. Quella che deve prevalere è sempre e soltanto la nostra capacità interiore di migliorarci costantemente.”

Non potrei essere più d’accordo con la dottoressa. E aggiungo che il campo massimo di competizione è lo sport. E’ dai tempi di “mens sana in corpore sano” che istruzione e sport vanno a braccetto. Se proprio si ritiene che la competizione sia solo dannosa si dovrebbe per prima cosa abolire lo sport da ogni tipo di scuola, o proprio abolire le competizioni sportive tout-court. Basta con Olimpiadi, campionati di calcio o tornei di tennis, insomma. Perché è proprio sui campi sportivi (di squadra o di singoli) che emerge in modo chiaro come esista un solo vincitore, o al limite un solo podio, e poi tutti gli altri.

Più in generale, quel che pare sempre più sfuggire a tanti italiani (genitori o meno di studenti: sta diventando un fenomeno nazionale davvero preoccupante) è questo desiderio di appiattimento verso il basso, visto come una sorta di anestetico che dovrebbe attutire i sapori della vita ai propri figli o ai nostri studenti. A me pare una ricetta abominevole. Non è abolendo ansia, competizione e meritocrazia che si aiutano i nostri figli. Anzi.

In conclusione: la scuola pubblica ha il preciso compito di prendersi cura di tutti i suoi studenti. Se nessuno, che io sappia, sostiene che sia sbagliato prendersi cura di chi rimane indietro per aiutarlo a recuperare, è invece frequente fra molti italiani l’idea che chi è in grado di ottenere voti alti o eccezionali lo faccia in modo immeritato o imbrogliando. Invece gli studenti dell’eccellenza sono delle figure splendide e a volte fragili, e hanno diritto come tutti gli altri a una scuola accogliente, affabile, premiante, meritocratica.

Guardare con sospetto chi ottiene una media del “nove” è la sindrome dell’odio verso il primo della classe, e ha a che fare con l’invidia di chi ci ha magari provato nella vita, ma non ci è riuscito. Beh, cari genitori che la pensate così, lasciate che i vostri figli possano invece misurarsi anche con le asperità della vita. Lasciate che ricevano delle critiche, dei No, dei due di picche dai propri pari, che vengano messi in condizione di competere con i loro compagni e anche di provare delle piccole ansie ingenerate dalla scuola o dallo sport. Sono tutte emozioni e stati d’animo che aiutano a crescere. Cercare di “proteggerli” da questi sentimenti va contro il loro interesse e non è certamente il compito della scuola pubblica.

SCOPRI TUTTI GLI AUTORI