Non ho trovato un titolo migliore per queste riflessioni se non la famosa citazione di John le Carré. Ci voleva, infatti, il Covid 19 per farmi constatare che in Italia, perfino in queste settimane, c’è chi vive in un mondo perfetto, asettico, fatto di regole ideali definite a tavolino senza bisogno di alcuna verifica pratica. Purtroppo il divario tra i garantiti e i non garantiti cresce e si allarga.
L’imbarazzante prestazione che la burocrazia ha fornito in queste settimane è stata un’ulteriore conferma della sua inadeguatezza e di quale costosissimo fardello costituisca per il Paese. Leggetevi le norme per la riapertura delle attività turistiche e dei pubblici esercizi. Schematizziamo il ragionamento: vi sono delle prescrizioni che sono palesemente inapplicabili e che costringeranno molti a non riaprire. Un approccio che trascura la sostanza per tutelare unicamente gli estensori del provvedimento, senza alcuna preoccupazione per gli esiti della norma e degli effetti che determinerà.
Quando si compiono scelte politiche o si definiscono atti amministrativi, la prima regola dovrebbe essere la preoccupazione di prevedere quali conseguenze essi determineranno. Una disposizione non può essere svincolata dalle sue conseguenze e dalla concreta applicabilità, secondo la vecchia regola “non dare mai un ordine che sai già non potrà essere eseguito” perché ne va della tua credibilità. Ma questo non vale per la nostra burocrazia, che non ha avuto uno scatto di orgoglio neanche in questi mesi disgraziati.
La qualità della democrazia è però indissolubilmente legata al suo funzionamento, che presuppone una burocrazia selezionata con criteri meritocratici, trasparente, rapida nelle decisioni, capace di leggere la realtà per viaggiare alla stessa velocità. Il disallineamento della Pubblica Amministrazione con la società reale è un nodo potenzialmente dirompente da affrontare, ma è una delle condizioni imprescindibili per riprendere la strada della crescita, ed è quindi un tema non più dilazionabile.
La debolezza della politica, sempre più in difficoltà al cospetto dell’opinione pubblica, acuisce il problema. Quando la politica perde la sua prerogativa più alta, ovvero la capacità di convincere le persone della bontà delle proprie idee, deve trovare altrove la giustificazione delle proprie scelte e porsi in secondo piano rispetto ai tecnici, ai sondaggi, alla piazza. Ecco che la perdita di autorevolezza della politica la porta di volta in volta all’incapacità di assumersi responsabilità in proprio.
Abbiamo così assistito in questo periodo a scelte che hanno trovato la propria giustificazione nel dettato dei comitati tecnici, dei comitati scientifici, degli esperti. Nulla contro le professionalità di costoro, ma se la politica deroga completamente al proprio ruolo, se non ha il coraggio e la capacità di decidere, di assumersi le sue responsabilità, ragionando solo nella logica di rispondere alle pressioni del momento senza guardare al medio periodo, è semplicemente inutile. Da qui il trionfo della burocrazia, delle procedure e l’inasprirsi della distanza tra chi vede ormai lo Stato come un avversario, se non come un nemico, piuttosto che come un alleato nel fare impresa, nel sostegno al reddito o alla salute, nella formazione propria o dei suoi figli, …
Il rimpallo di responsabilità tra Governo e Regioni su colpe e attribuzioni di competenza è solo l’ultima manifestazione di un processo lungo e di mali antichi che hanno segnato la retrocessione dell’Italia in posizioni sempre più di rincalzo all’interno del consesso internazionale. La modernità presuppone tempi rapidi. Inevitabilmente si rende necessaria la sburocratizzazione e la relativa semplificazione delle norme. Spero che la pandemia faccia avere, in questo senso, uno scatto di reni a tutta la classe politica o saranno guai seri per il nostro Paese.
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