BLOG

Spazio Co-blogging: mamma e lavoratrice, perché è ancora un ostacolo

Esperto di politiche energetiche e sviluppo commerciale
Spazio Co-blogging: mamma e lavoratrice, perché è ancora un ostacolo

Nello spazio co-blogging di oggi, la bravissima Gaia Raisoni pone l’accento su una tematica di cui si parla molto, e purtroppo questo fa notizia perché non dovrebbe essere così, ovvero le difficoltà di una donna che vuole essere mamma e che nel mondo del lavoro risulta ancora come un ostacolo, un vero e proprio ostacolo.

La pancia fa la differenza (?) di Gaia Raisoni

In un momento in cui la parità di genere, il gap salariale e la questione anagrafica trovano spazio di discussione, ma sono ancora lontane dall’essere superate, essere donna è una battaglia continua. A volte estenuante. A volte lascia tanti punti di domanda a cui è difficile dare risposta, come cicatrici da non riportare sul curriculum vitae. Ci rallegriamo e mettiamo in prima pagina l’imprenditore che assume una candidata incinta – cosa che NON dovrebbe far notizia – ma passiamo in secondo piano l’impatto che la pandemia ha avuto sull’occupazione femminile (nel 2020, il tasso di occupazione femminile è sceso al 49% secondo quanto riportato nel Bilancio di Genere 2021). Eppure nel 2022, a meno di 8 anni dal raggiungimento dei Sustainable Development Goals , siamo ancora alla ricerca della “big I”, ovvero la grande inclusione. Che troppo spesso assomiglia più ad una grande illusione. Succede che ad un concorso pubblico, le candidate che hanno superato la prima prova vengano sottoposte al colloquio finale. I posti a disposizione sono pochissimi, le domande scelte a caso e le candidate rispondono con competenza, mostrando un livello praticamente pari di conoscenza. Lo scarto del punteggio tra chi ottiene il posto e le altre è minimo.

Una candidata è anche mamma e in attesa di due bimbe. La pancia è ben visibile. Si allontana dalla sede del colloquio con l’amaro in bocca per quel successo sfuggito di poco. Si rammarica sulla risposta data alla prima domanda, che poteva essere un po’ più approfondita. Ma non può smettere di pensare se la valutazione sarebbe stata differente, se non fosse stata in dolce attesa. Negli ultimi due anni, mio marito ha svolto decine e decine di colloqui a distanza. Con telecamera e microfono acceso procede a intervistare i candidati e le candidate. A parte il viso e a volte il mezzo busto, non sono visibili né pance né sedie a rotelle. Non sa nemmeno se l’intervistato indossi una minigonna di paillettes abbinata a giacca e cravatta. Non sono informazioni che può richiedere all’intervistata o all’intervistato. Il colloquio sembra avere tutte le condizioni per essere veramente inclusivo. Ma, come dimostra l’esperienza di concorso sopra descritta, il senso di inferiorità che la maternità nel mondo del lavoro per una donna comporta è davvero difficile da superare.

D’altro canto, se un posto fosse andato alla futura mamma, le “scartate” avrebbero potuto pensare che il posto fosse andato a lei solo per il fatto di essere incinta. Sembra quindi non esserci soluzione: la società e il mondo del lavoro non possono essere davvero inclusivi perché la ricerca di inclusione porta obbligatoriamente a tralasciare qualche aspetto, a lasciare qualcuno fuori dal girotondo della vita. É davvero così? Il fatto stesso di non basarci su meri algoritmi ma essere persone che valutano altre persone ci impone di vivere una dis-inclusione? In attesa di trovare le risposte, voglio valorizzare un aspetto di questa storia che non possiamo trascurare: le migliori candidate per il posto erano donne, più o meno coetanee. Spero che per le selezionate la maternità non sia mai un vincolo alla carriera professionale, che abbiano la scelta di poter essere madri senza imposizioni da parte del datore di lavoro. E che apprezzino il coraggio di una donna che si è messa in gioco mostrando la sua pancia. Forse è qui che la pancia fa la differenza.