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Transgender Day of Visibility: in Italia siamo ancora all’anno zero

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Transgender Day of Visibility: in Italia siamo ancora all’anno zero

Oggi 31 marzo, International Transgender Day of Visibility (#TDOV2020). Dal 2009, ossia dal primo TDOV, questo giorno è dedicato alla celebrazione delle persone transgender e alla sensibilizzazione in merito alle discriminazioni subite dalle persone transgender in tutto il mondo. A differenza del Transgender Day of Remembrance (TDOR) che commemora le persone transgender vittime di omicidi, questa giornata è dedicata all’orgoglio della comunità transgender.

Ricordiamo anche il nostro triste primato. Secondo i dati di ILGA Europe, infatti, è l’Italia ad avere il triste primato europeo in questo campo: siamo il paese più transfobico d’Europa. Peggio di noi, fuori dai confini EU, solo la Turchia e il Brasile (primato mondiale). Molto c’è da fare. Serve una legge che punisca i crimini d’odio per orientamento sessuale e identità di genere. Serve una legge che garantisca la riassegnazione anagrafica del genere come chiesto dalla Corte Costituzionale, senza la mutilazione dei genitali, e senza discrezionalità dei giudici.
E serve una particolare attenzione nel loro inserimento nel mondo del lavoro. Perché la prostituzione non è la naturale conseguenza dell’essere transgender ma troppo spesso è l’unico modo per sopravvivere.

Troppo spesso noi attivisti dei diritti delle persone LGBT+ ci sentiamo ripetere che “l’ostentazione” è sbagliata. Solo che non è ostentazione. È visibilità. È gridare al mondo che noi ci siamo, che noi esistiamo, che non siamo cittadini di serie B e che pretendiamo tutto quello che ci spetta: pari diritti e pari dignità. Senza la visibilità non c’è Pride. Non c’è orgoglio.

Essere visibili vuol dire mostrarsi al mondo per quello che si è non per come il mondo vorrebbe che fossimo. E senza questo primo passo, l’autodeterminazione, non c’è orgoglio che tenga. Poco più su parlavo del triste primato dell’Italia nel campo della transfobia. Parliamo di violenze fisiche, parliamo purtroppo di tanti, troppi omicidi. Questi omicidi avvengono in contesti di degrado sociale e ad alto rischio — situazioni in cui ancora oggi molte persone trans si ritrovano, a causa della discriminazione che le esclude dal mondo della formazione e del lavoro legittimo.

Anche all’interno della comunità LGBT, le persone transgender sono i soggetti più vulnerabili. Un sondaggio condotto dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) e pubblicato qualche anno fa ha rilevato che il tasso di violenza e molestie subito da questo gruppo sarebbe doppio rispetto a quello riscontrato tra gli intervistati lesbiche, gay e bisessuali.

È difficile quantificare il numero di aggressioni transfobiche in Italia, al di là dei casi riportati dalla stampa. Non ci sono statistiche e non possono essere fatte, perché molte persone non denunciano. In molti casi vince la paura di subire ulteriori discriminazioni e umiliazioni, magari ad opera proprio delle forze dell’ordine che dovrebbero raccogliere le denunce.

In Italia quella trans rimane una realtà difficile, spesso segnata non solo da aggressioni e sfruttamento, ma anche da povertà, solitudine e grande sofferenza per un’identità di genere che ancora fatica a trovare legittimazione. E queste persone di tutto hanno bisogno fuorché di associazioni come Arcilesbica Nazionale che le criminalizzano prestando il fianco ai clerico fascisti del bus arancione, del Congresso di Verona e dei sedicenti “Pro Vita”.

Pensate solo una cosa: in Italia non viene riconosciuto alle persone trans il diritto di autodeterminazione, poiché le norme giuridiche ancora non consentono di ufficializzare il cambiamento di sesso senza intervento chirurgico nonostante alcune sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione abbiano riconosciuto che il trattamento chirurgico non sia un requisito strettamente necessario per il cambio di genere.

Come al solito i tribunali sono chiamati a supplire le mancanze della politica che abdica al suo ruolo. L’invito ad agire, a livello europeo, era già stato inviato nel 2010, quando una raccomandazione inviata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa invitava gli stato membri dell’Unione ad adottare e applicare “in maniera efficace misure legislative e di altro tipo miranti a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, a garantire il rispetto dei diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali e a promuovere la tolleranza nei loro confronti.” Stiamo ancora aspettando. Ma le difficoltà per le persone transgender mica finiscono qui.

Alle difficoltà incontrate per registrare la propria transizione si aggiunge anche l’assenza di politiche mirate all’inserimento professionale. Espulse sistematicamente dal mondo del lavoro ecco che anche poter proseguire nel percorso di transizione diventa un problema di tipo economico e il bisogno di reperire il denaro necessario per acquistare farmaci delle terapie ormonali diventa un’ulteriore spinta verso attività al limite della legalità – come, ad esempio, la prostituzione.

Farmaci ormonali che, beffa fra le beffe, sono veri e propri salva vita per le persone transgender ma che sono stati fatti diventare di “Fascia C” e quindi a totale carico del cittadino contribuente. In pratica si chiede alle persone transgender di scegliere fra mangiare o comprarsi i costosissimi farmaci ormonali che, ripeto, per loro, sono salva vita.

Ecco la situazione in cui vivono le persone transgender nel nostro Paese: discriminate, emarginate, vittime silenziose di violenze e omicidi. Cittadini di uno Stato che continua a far finta che non esistano. Ecco perché serve la visibilità. Con buona pace di chi la chiama ostentazione.

Un abbraccio ai nostri fratelli e sorelle, quell* della T nell’acronimo LGBT che troppo spesso è dimenticata anche dal resto delle lettere.