La terza ondata della pandemia rappresenta un vero e proprio colpo di grazia per la nostra economia, ormai è evidente. Le aziende dei settori maggiormente colpiti hanno resistito stoicamente nella primavera del 2020; in estate c’era stata l’illusione di essersi lasciati il peggio alle spalle ma a fine ottobre si è tornati nell’incubo.
Si sperava nello shopping natalizio per recuperare parte del terreno perduto ma sappiamo come sia andata. Si puntava alla Pasqua per una ripresa dei consumi e sappiamo come andrà. La moratoria sui mutui, il blocco delle cartelle esattoriali, la CIG, sono state misure utili ma di fatto hanno cristallizzato una situazione che, prima o poi, tornerà a gravare su aziende che, nel frattempo, hanno fatturato poco o nulla. Si tratta di misure non risolutive.
Alcuni settori industriali, come ad esempio il comparto Moda, nonostante tutto hanno continuato a produrre beni (aumentando l’esposizione debitoria vs i propri fornitori) che sono stati ceduti ai negozianti (aumentando il credito vs i clienti). Tuttavia i clienti/negozianti che hanno ricevuti i beni suddetti sono stati praticamente chiusi per settimane e settimane da ottobre ad oggi e, conseguentemente, non sono in grado di sostenere i pagamenti vs le aziende fornitrici, nei tempi concordati.
Ciò comporta che le aziende hanno un ammontare di crediti che riscuoteranno in tempi incerti e, dall’altra parte, un volume di debiti a scadenza breve. Inevitabile un squilibrio nel cash flow che rischia di pesare come un macigno per la prosecuzione delle attività aziendali. In termini pratici, ci si è incagliati.
Ed allora come se ne esce? Provo a suggerire l’approfondimento di uno strumento, dal quale prendere spunto per cercare una soluzione tecnica, il cd “Reverse Factoring”: si tratta di un’operazione che consente di smobilizzare i crediti/debiti di fornitura. Se nel factoring “normale” è l’azienda creditrice a rivolgersi alla banca chiedendo l’anticipo sui crediti, nel reverse factoring è l’azienda debitrice che propone l’operazione. La banca factor stipulerà una convenzione con tutti i fornitori coinvolti e ne anticiperà i crediti. Il fornitore si vedrà corrispondere la somma immediatamente, con un piccolo costo, e potrà continuare a lavorare per l’azienda committente/debitrice; l’azienda debitrice si vedrà trasformato un debito ormai scaduto in un debito con tempi di rientro più lunghi.
Il jolly finale, per far si che l’operazione descritta sia davvero “rivoluzionaria” ed innovativa, è rappresentato dall’intervento dello Stato, che potrebbe garantire la banca per l’importo oggetto di factoring, permettendo all’azienda debitrice di rientrare in un tempo dilatato (almeno 1 anno). In questo modo il piccolo fornitore (spesso laboratori artigiani o micro imprese) che difficilmente otterrebbe credito dalle banche, incassa il dovuto ed il committente, invece, ottiene il tempo necessario per rientrare dei propri crediti, riassestare il cash flow ed utilizzare le risorse per sviluppare e rilanciare il business aziendale. Sarebbe molto utile se la programmazione del nuovo Governo targato Draghi, abituato a dialogare con gli istituti di credito, immaginasse un intervento di questo tipo che, sostanzialmente, si tradurrebbe in un accordo con le banche fornendo alle stesse le garanzie attraverso il MCC. Un intervento strutturato, concreto ed efficace, che sbloccherebbe la filiera e darebbe realmente ossigeno alle aziende, ormai tutte incagliate nei rispettivi crediti/debiti.
L’unica certezza è che non si può più attendere. Come dire: “whatever it takes”
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