All’ultima manifestazione per dire basta alla camorra, le istituzioni non c’erano. Un’assenza che è pesata moltissimo soprattutto nel giorno nel quale si ricordava la strage del bar Sayonara nella quale morirono quattro innocenti e all’indomani dell’ennesimo agguato. La camorra opera sul territorio, usura e pizzo alle imprese sono uno dei business principali. Ne parliamo con Luigi Ferrucci, presidente nazionale della FAI, federazione delle associazioni antiracket e anti-usura italiane.
Presidente, Ponticelli è sempre stato un territorio martoriato dalla criminalità organizzata. Lo è ancora adesso, eppure all’ultima manifestazione organizzata dalle associazioni è pesata l’assenza delle Istituzioni. Qual è la sua idea?
«Sì. È una manifestazione che facciamo ogni anno. Alle scorse edizioni hanno partecipato anche il Sindaco e il Prefetto, a questa di venerdì invece no, non c’erano. C’erano invece le forze dell’ordine con le quali abbiamo, per ovvi motivi, un rapporto strettissimo e una collaborazione costante. L’assenza delle istituzioni è stata una mancanza pesante che è saltata agli occhi di tutti. Era importante esserci per ricordare l’agguato del bar Sayonara nel quale persero la vita quattro innocenti, ancora di più era importante esserci all’indomani di un agguato all’esterno di una scuola elementare. A Ponticelli c’è una situazione critica, abbiamo un’associazione costituita da commercianti del posto, molto attiva che ha prodotto diverse denunce, sia quando è stata costituita ma anche nel corso degli ultimi anni. La nostra attività è questa. È ovvio che in quei territori ci sono delle mancanze, non possiamo pensare di contrastare il racket solo con i militari, pesa l’assenza della politica e delle Istituzioni. Bisogna dare opportunità, bisogna fare molto di più e bisogna continuare a gridare: denunciate!»
Perché le denunce sono così poche?
«A differenza di qualche anno fa c’è un abisso: oggi è più facile denunciare, ci sono tanti strumenti ma spesso non si conoscono e questo è un grande limite e noi da volontari cerchiamo di informare gli imprenditori. Esistono strumenti legislativi che consentono, per esempio, di avere un risarcimento se l’imprenditore subisce una ritorsione dopo aver denunciato, parlo della legge 44 e della 108 per l’usura. Le leggi ci sono, il problema però sono i tempi lunghissimi».
Se ci sono questi strumenti perché le denunce non aumentano? È per la paura di subire ritorsioni, di rimanere soli dopo aver fatto i nomi?
«La variante della paura c’è ed è normale che ci sia, ma con un po’ di coraggio si può fare. Ora dirò una cosa forte: le denunce spesso non ci sono per motivi di convenienza, conviene non denunciare, o perché si fanno affari, si hanno favori in cambio. Se, ad esempio, vado in giro a vendere i prodotti, pur non essendo appartenente al clan di riferimento della zona, faccio il loro nome e qualcosa mi torna indietro. E poi c’è anche la paura di essere isolati dalla gente del quartiere, se ho il bar nella piazza di un paese a forte presenza mafiosa, all’indomani di una denuncia nel mio bar non ci entrerà più nessuno e questo è colpa della società civile che invece di sostenere chi denuncia, lo isola. Tempo fa quando abbiamo presentato a Foggia la nostra associazione, uno dei nostri associati ha subito danni all’azienda agricola, andammo lì e in quell’ occasione ho detto una cosa che ci tengo a ribadire: è vero che ci sono delle mancanze da parte dello Stato e della politica, ma è anche vero che ci sono troppi commercianti che si ostinano a non denunciare e il proliferare delle mafie è anche colpa di chi si gira dall’altra parte».
Riesce a tracciare un quadro delle denunce dei commercianti di Ponticelli?
«Avere dei numeri precisi è praticamente impossibile, posso dirle però che in un territorio a forte presenza mafiosa, chi denuncia è una piccolissima parte dei commercianti. A Ponticelli, circa 15 commercianti della stessa area hanno denunciato il pizzo, ma in un territorio di 80mila abitanti con tantissime attività commerciali è ovvio che la camorra non sia andata a fare estorsioni solo a quindici attività. Su un numero così largo le denunce sono poche: è un’estrema minoranza che decide di non pagare e denuncia».
Quali le colpe e quali i compiti della politica?
«La politica deve esserci e deve esserci non solo con la repressione. Non basta presidiare il territorio e arrestare, bisogna creare nuove opportunità di lavoro per i ragazzi, ma pensiamo anche alle difficoltà per le imprese che devono fare i conti con una burocrazia feroce. La repressione da sola non funziona, bisogna cambiare le leggi e soprattutto snellire le procedure».
Così burocrazia e politica diventano complici della criminalità organizzata, soprattutto ora che la crisi imperversa e le imprese tra caro energia e costi delle materie prime sono con l’acqua alla gola.
«Sì, abbiamo sottolineato più volte il rischio che le imprese si rivolgano alla malavita per sopravvivere alla crisi. A Napoli abbiamo uno sportello di ascolto e molte persone si stanno rivolgendo a noi: fenomeni di usura e sovra-indebitamento sono un problema grave, il rischio è che chi era già in difficoltà e si vede quindi impossibilito ad accedere al credito legale, si rivolga per disperazione all’interlocutore sbagliato. È chiaro che se non c’è la possibilità di accedere al credito legale e dall’altra parte ci sono molte risorse economiche ma zero burocrazia, la scelta ricade sul credito illegale. Bisogna rendere più semplici e accessibili le pratiche. È necessario, altrimenti la lotta diventa impari».
