Nel Si&No del Riformista spazio al video che da giorni sta occupando le cronache rosa e non del Bel Paese: il filmato in cui il banchiere Massimo Segre rivela i presunti tradimenti della ormai ex compagna, Cristina Seymandi, durante una festa organizzata per annunciare il loro matrimonio. E’ giusto rendere pubblici i tradimenti? Favorevole la giornalista Annarita Digiorgio secondo cui “mi piacciono gli uomini così e da qui passa la libertà“. Contraria la giornalista Francesca Sabella: “Bisogna rispettare un amore soprattutto quando finisce”.

Qui il commento di Francesca Sabella

Il dolore degli altri. Bel grattacapo. Non lo si può toccare, immaginare o sentire. È nelle parole la radice della sua essenza: degli altri. È degli altri. E ognuno il dolore lo gestisce come può, c’è chi lo sbriciola in minuscoli pezzetti di coriandoli e lo lancia chissà dove in un posto dell’anima per non doverlo vedere più, c’è chi lo nasconde e lo seppellisce con ciò che trova, con quello che può. C’è chi lo custodisce e lo protegge e c’è chi lo umilia. Ecco, credo che il banchiere Segre abbia fatto esattamente questo quando ha iniziato a raccontare dei tradimenti di quella che fino a pochi minuti fa era la sua compagna, quasi sposa. Ha dato il suo dolore in pasto a una folla annoiata che non vede l’ora di spiare dal buco della serratura la vita degli altri, figuriamoci potervi entrare dalla porta d’ingresso e con un bel caffè di benvenuto.

Paradiso per gente annoiata e “consumata nel farsi dar retta”. Prima di recarci alla fiera dell’ovvio per comprare parole con lo sconto “usate” e dire che non si umilia una donna, mai, che non si spettacolarizzano gli “sbagli” altrui, che non si mette in piazza un’azione che non è la propria. Che non si invita la gente al linciaggio (morale e solo morale, certo) di una persona, di una donna che fino alla sera prima ci dava le spalle nello stesso letto. Tutto vero. Prima di arrivare a questo, c’è il dispiacere, il dolore di un uomo che ha perduto quello che – immaginavo – credesse l’amore della sua vita. E alla fine di un amore è il “dopo” ciò che conta. È cosa ne fai del tuo dolore e di quello di un’altra persona. È il rispetto che si dimostra di avere prima verso di sé e poi verso l’altro. Quando va tutto bene, è facile, il rispetto è la considerazione di chi si ha accanto vengono da soli. Quando tutto cade a pezzi è lì che, forse, viene fuori la natura di ognuno di noi. E sicuramente il gesto del banchiere ha rivelato una caduta di stile, è scivolato e ha ceduto alla tentazione di sputtanare.

Sì, sì, avete letto bene la parola. Non credete sia facile trovare un sinonimo di sputtanare. Non c’è! Al di là della considerazione puramente etica, della morale e del buon costume che ci dice che le cose private devono rimanere tali. Mi chiedo, a questo punto: cosa è mio e cosa è di tutti? È tutto di tutti e i social e la comunicazione morbosa, continua, senza filtri (se non quelli usati per diventare più belli) di ogni cosa che accade nelle nostre vite ne sono la prova. Pensiamo tutti di vivere in un grande fratello gigantesco che ci tiene puntate le telecamere addosso. In realtà le accendiamo noi. Che senso ha avuto scrivere quella lettera e leggerla davanti a centinaia di persone? Roba adatta a riderci su almeno per tutta l’estate e adatta pure per la stagione dell’autunno.

A inizio settembre quando si è ancora troppo poco presi dal lavoro e ci si annoia un po’ si riprenderà a parlare della storia del banchiere cornuto e di lei che si è comportata male, ma anche di lui che però la tradiva. Roba buona per spettegolare un pochino mentre cuoce a pasta. Niente di più. Mi chiedo… Non era forse meglio scrivere quella lettera e lasciarla su un comodino in camera da letto? Lei l’avrebbe letta senza pensare a doversi difendere mentre moriva dalla vergogna, avrebbe colto il senso delle parole, avrebbe sentito come suo il dolore del compagno. E invece di quella lettera non ha ascoltato nulla, solo le risatine perfide di chi avrà un argomento sul quale riversare la propria cattiveria. Cristina, così si chiama lei, aveva addosso gli occhi di una folla giudicante, i tradimenti, le parole del compagno non le hanno lasciato alcun segno. A lui è rimasta l’umiliazione di aver messo in piazza un dolore e un amore. A lui è rimasta una vigliaccheria che, quando tutto sarà finito, sarà con ogni probabilità fonte di dispiacere. Tra le beghe, i tradimenti, gli sputtanamenti e gli amici che se la ridono, mi tornano in mente le parole di una canzone:

“È una storia da basso impero
È una storia mica male insabbiata
È una storia sbagliata
È una storia da carabinieri
È una storia per parrucchieri
È una storia un po’ sputtanata
O è una storia sbagliata…”.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.