Caso Almasri, il “lavoro sporco” sollecitato dall’avvocato dei ‘pentiti’: entro 90 giorni il Parlamento archivierà tutto ma il circo mediatico prosegue

CARLO NORDIO MINISTRO GIUSTIZIA

Giorgia Meloni tirata per la giacchetta. Dai giudici che la ritengono informata ma incapace di condividere decisioni con i suoi ministri. E dalle minoranze parlamentari che già in febbraio la insultavano come “la patriota in fuga”. E lui, il fantasma di Osama Almasri, un generale libico accusato di torture e stupri e inseguito dal mandato di cattura del tribunale dell’Aja, ancora presente dopo la decisione del tribunale dei ministri.

Tre giudici sorteggiate che si sono assunte il compito di spacchettare il governo. Da una parte i responsabili da rinviare a giudizio, dall’altra l’inconsapevole premier, la quale sarebbe stata informata del “pasticciaccio”, in cui hanno fatto confusione prima di tutto le giudici della Corte Penale internazionale e poi gli stessi magistrati italiani, ma non avrebbe partecipato al “programma criminoso”. Cioè si sarebbe astenuta, senza provvedere prontamente, come sarebbe stato suo dovere, a licenziare i tre “criminali”, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il guardasigilli Carlo Nordio e il sottosegretario ai servizi segreti Alfredo Mantovano. E pensare che tutta quanta questa inchiesta era partita dall’esposto di un singolo avvocato, Luigi Li Gotti, anche ex senatore dell’Italia dei valori fondata da Tonino Di Pietro.

L’esposto dell’avvocato dei ‘pentiti’

Un legale che negli ultimi trent’anni si è dedicato prevalentemente ad assistere i “pentiti” di mafia. Facile lavoro, al fianco dei pubblici ministeri e di personaggi, spesso assassini e strangolatori di bambini, solo a caccia di denaro e soluzioni premiali per uscire rapidamente dal carcere. Non certo migliori del generale Almasri. Liberissimo l’avvocato di presentare il suo esposto e magari ricavarne pubblicità, singolare la decisione del procuratore romano Lo Voi, nel nome della solita ipocrisia dell’obbligatorietà dell’azione penale, di sottoporre a indagini mezzo governo. Anche se è stato lui stesso a chiedere l’archiviazione, poi accolta, per la presidente Meloni. Peculato e favoreggiamento, sono i reati contestati. Per l’espulsione del generale, e per l’uso dell’aereo di Stato.

Le parole di Parodi su Bartolozzi

Per il solo Nordio c’è l’”aggiuntina” dell’omissione di atti d’ufficio. Gli equilibri interni al suo ufficio ieri mattina hanno traballato per una sorta di malinteso dovuto alle parole del presidente del sindacato delle toghe, Cesare Parodi. Il magistrato, nel corso di un’intervista, aveva risposto a una domanda che chiamava in causa la capo di gabinetto del guardasigilli, Giusi Bartolozzi ed eventuali indagini che avessero potuto riguardarla. La dichiarazione del presidente Parodi, come risulta dalle agenzie, è la seguente: “Un processo dove vengono accertati, magari in via definitiva, certi fatti, ha evidentemente una ricaduta politica, neanche tanto indiretta, sulle persone coinvolte…”. Si era anche sbilanciato nel dire che “evidentemente le valutazioni del procuratore Lo Voi non erano infondate”. Benzina sul fuoco, inutile negarlo, anche se il magistrato è considerato da tutti come una persona equilibrata e non certo incendiaria. Ma un po’ la novità del suo ruolo, un po’ la necessità, evidentemente molto sentita, da parte delle toghe, di sentirsi già in campagna elettorale in vista del prossimo referendum sulla separazione delle carriere, fatto sta che la frittata è stata servita su una tavola già ben imbandita di polemiche.

Nordio si è imbufalito, sconcertato”, e insospettito: forse il sindacalista delle toghe ha letto atti giudiziari a noi sconosciuti? Rincara la dose il mite ministro degli Esteri Antonio Tajani, “basito” e ancora più sospettoso: siamo in presenza di vendetta, tremenda vendetta, per la separazione delle carriere? Poi Cesare Parodi tenta di precisare, perché è vero che il nome di Giusi Bartolozzi lui non l’ha fatto, ma insomma l’esondazione c’è, eccome. I più maliziosi potrebbero leggere nelle parole del magistrato persino un invito al procuratore Lo Voi. Ma ormai, quando si parla di giurisdizione, tutto si tiene. E il mondo della politica, come quello della pubblica amministrazione, non può più muovere un passo in nessuna direzione, dall’immigrazione all’urbanistica, senza incappare in un pm con il ditino alzato e il codice pronto.

Il “lavoro sporco”

A volte le manette, come è capitato a Milano, dove, almeno in un caso, il giudice ha accolto la richiesta del collega-procuratore. Ma siamo arrivati alla messa in discussione, da parte della magistratura, della stessa attività di intelligence dei servizi segreti. È vero che il governo, chissà perché, ha dimenticato di porre il segreto di Stato sull’espulsione di Osama Almasri, limitandosi a spiegare la sua espulsione solo con la “pericolosità” del soggetto. Ma siamo sicuri che un’attività puramente amministrativa, quella che nei film americani viene definita come il “lavoro sporco” dei servizi, debba passare al vaglio di un procuratore sollecitato da un difensore di “pentiti” improvvisamente scandalizzato? Entro novanta giorni provvederà il Parlamento ad archiviare, ma nel frattempo chi fermerà il circo mediatico?